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Brescia
di MASSIMO VENTURELLI 03 dic 2020 15:36

In Caritas un'esperienza irripetibile

Don Armando Nolli, negli anni trascorsi come curato di Chiari, prima, e come direttore della Caritas diocesana, poi, non solo ha conosciuto da vicino figure sacerdotali come don Tignonsini, don Ronchi, don Verzeletti e altri ancora che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso hanno saputo dare risposte a forme di grave disagio che minavano anche quelle comunità assegnate alle loro cure pastorali, ma ha respirato anche il clima ecclesiale e civile in cui quelle esperienze fiorirono, a partire dalla grande sintonia con il loro vescovo…

“L’opera di sacerdoti come don Tignonsini fu possibile proprio grazie alla sintonia che c’era tra loro e il vescovo – ricorda don Nolli - . Brescia ha avuto la fortuna di avere vescovi che hanno fatto della sintonia e della familiarità con i loro preti un punto fermo del loro episcopato”. Era questa sintonia che, secondo l’ex direttore della Caritas diocesana, consentiva anche a questi sacerdoti di essere messi al riparo da critiche che pure non mancavano. “Non sempre – continua nel suo racconto – le comunità parrocchiali furono altrettanto decise come il vescovo nell’appoggiare iniziative promosse in campo sociale da sacerdoti come don Redento. Spesso si dovevano fare i conti con i sentimenti dei parroci, dei Comuni e della gente che, in quella stagione, guardava spesso con sospetto novità che potevano turbare la tranquillità”.

Da qualche anno in Caritas, ricorda ancora, una sera fu convocato da mons. Gennaro Franceschetti al Centro pastorale Paolo VI per un incontro con Clemente Antonioli, medico di Visano, che aveva aperto la sua casa all’accoglienza di giovani in situazioni di bisogno. Davanti al dilagare del fenomeno aveva iniziato a interrogarsi su come poter rispondere a questo bisogno. Aveva però bisogno di un appoggio perché in quegli anni sarebbe stato impossibile per lui, laico, fare accettare alla sua comunità un’iniziativa che anche alcuni preti riuscivano a realizzare con fatica. Eppure non furono pochi i sacerdoti che in quegli anni assunsero questa sfida. “Perché lo fecero? – anticipa la domanda don Nolli - Non lo so. Sicuramente non per voglia di protagonismo. Forse, semplicemente, perché eravamo in tanti e questo ci dava modo di alzare lo sguardo oltre la pastorale, di prendere coscienza dei problemi, come la tossicodipendenza, che venivano avanti e che non potevano lasciarci indifferenti”.

E così, dopo avere fatto nascere a Chiari la cooperativa “Il Nucleo” che si occupava del disagio a cui andava incontro una famiglia costretta a misurarsi con il dramma della droga, venne chiamato alla guida della Caritas. “Questa – ricorda – aveva il compito non di essere una associazione di volontariato, ma di coordinare le realtà esistenti e di creare nella comunità cristiana il senso della solidarietà. Invece di creare e gestire in proprio, dal centro, realtà e servizi si preferiva stimolare l’iniziativa delle comunità locali sul fronte della carità. Importanti risposte arrivarono, tra gli altri, da preti come don Tignonsini, don Ronchi, don Verzeletti e l’allora giovane curato don Licini.

“Ogni due o tre mesi – racconta ancora don Nolli – venivano poi promossi momenti di confronto”. Quella che ha ricordato, però, è un’esperienza oggi non ripetibile. “Ma non per poca sensibilità – è il parere di don Nolli – . Il drastico calo del numero dei preti ha fatto sì che oggi abbiamo più fronti interni alla parrocchia in cui muoversi. In queste condizioni è naturale che qualche attenzione venga meno”.

MASSIMO VENTURELLI 03 dic 2020 15:36