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Brescia
di PIERANTONIO TREMOLADA 30 mag 2024 22:10

Il sacrificio non è nemico della felicità

Leggi l'omelia pronunciata in Cattedrale dal vescovo Pierantonio Tremolada per la solennità del Corpus Domini

“Nella notte in cui fu tradito Gesù prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Sono le parole che la liturgia ci fa pronunciare al cuore della celebrazione dell’Eucaristia. Il corpo del Signore Gesù, che viene donato ai suoi discepoli, è il corpo “offerto in sacrificio”; è la sua stessa vita donata nel pane spezzato; è l’anticipazione della sua morte sulla croce, liberamente accolta per amore: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo – dice l’evangelista Giovanni – li amò sino alla fine” (Gv 13,1).

Nell’Eucaristia che celebriamo e adoriamo, nell’Eucaristia che questa sera abbiamo portato in processione per le strade delle nostre città, il Signore è realmente presente, ma lo è in uno slancio di amore. La sua è una presenza attiva, protesa verso di noi, animata dal desiderio di renderci partecipi di ciò che è suo. “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” – aveva detto Gesù ai suoi discepoli (Gv 12,32). Nel pane che egli spezza e distribuisce nell’ultima cena, egli anticipa misteriosamente la sua morte e ne rende operante la potenza di salvezza.

Questo intende rivelare la liturgia quando, nel momento della consacrazione del pane, ci fa ripetere le parole dell’ultima cena di Gesù. La morte del Signore è il suo sacrificio, accettato liberamente per noi e per noi divenuto sorgente di una vita nuova.

Sin dall’inizio della sua storia, Israele, il popolo della prima alleanza, aveva sentito il bisogno di offrire al Signore suo Dio dei sacrifici. Si trattava di azioni rituali, di gesti attraverso le quali si intendeva esprimere a lui la propria riverenza e il desiderio di mantenersi nella sua comunione. Venivano immolati su un altare vitelli e agnelli e venivano presentate nel santuario le primizie dei raccolti.

I profeti aveva più volte messo in guardia dal pericolo di trasformare i sacrifici in gesti puramente esteriori, in pratiche compiute solo per osservanza della legge e della tradizione. Raccomandavano il coinvolgimento del cuore e il rapporto con la vita. Così leggiamo nel Libro del profeta Isaia: “Dice il Signore: questo mi onora solo con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me” (Is 29,13). E ancora: “Smettete di presentare offerte inutili. Non possos opportare delitto e solennità (Is 1,13). “Io voglio l'amore e non il sacrificio – sil egge nel Libro del profeta Osea – la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6,6). Nei Salmi risuona più volte l’esortazione a compiere quello che viene definito un sacrificio di lode, cioè l’invito a trasformare l’intero vissuto in un’offerta degna di Dio: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore umile e affranto tu, o Dio, non disprezzi” (Sal 51,18-19). Non è dunque il sacrificio di capri e di vitelli o delle primizie del raccolto, a rendere onore a Dio, ma l’intera vita, pienamente conforme alla sua volontà nella giustizia e nell’amore. La figura misteriosa del servo del Signore, di cui parla il Libro del Profeta Isaia, è quella che meglio incarna nell’Antico Testamento l’esempio di colui che compie il sacrificio gradito a Dio. Di lui si dice: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca. Era come agnello condotto al macello ... Fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte.”. Ma poi si aggiunge: “Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore”. Il sacrificio assume qui la forma della offerta totale di sé, che giunge al limite estremo della morte. È il sacrificio della vita accettato in obbedienza a Dio, per il bene del proprio popolo. Il frutto che ne deriva è il perdono delle colpe, il riscatto dalla malvagità dei suoi fratelli e la partecipazione alla sua gloria.

Una simile profezia trova il suo compimento nella persona di Gesù, il Messia annunciato dai profeti. In lui il sacrificio gradito a Dio trova la sua espressione più alta e la sua perenne efficacia. Di se stesso Gesù dirà “Il Figlio dell’Uomo è venuto non per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per la moltitudine” (Mc 10,45). Il riscatto rinvia al sacrificio: qui Gesù sta pensando – nella prospettiva del servo del Signore – alla sua morte sulla croce. Giovanni il Battista lo presenterà come l’Agnello di Dio. Lui che è disceso dall’alto accetta di essere innalzato sulla croce e di versare il suo sangue per la redenzione del mondo. Egli – ci dice ' la Lettera agli Ebrei – è il sommo sacerdote che ha compiuto il vero sacrificio, “offrendo se stesso mosso dallo Spirito eterno” (cfr. Eb 9,14), in piena libertà e in totale sintonia con il volere di Dio”. In questo modo egli ha dato compimento a un disegno di misericordia.

Alla luce quanto la Parola di Dio ci rivela, il sacrificio ci si presenta in tutta la sua nobile grandezza. In realtà lo si è a volte frainteso. Lo si è contrapposto alla gioia di vivere, all’esuberanza propria della persona, all’appagamento che il cuore ricerca. Si è fatto del sacrificio un nemico della felicità. Lo si è identificato con la rinuncia nei confronti di tutto ciò che dà soddisfazione e suscita piacere. Nel suo nome è stata proposta una disciplina che è risultata mortificante per chiunque amava la vita.

In realtà il sacrificio conferisce la giusta forma al più grande desiderio che la persona coltiva: quello condurre la vita alla sua pienezza. Il vero desiderio, infatti, non coincide con l’istinto del momento, con la voglia capricciosa o con la gratificazione passeggera. Ciò che non costa nulla, che non mette in campo con impegno le nostre migliori energie, ciò che non spinge la volontà ad elevarsi e non sollecita la libertà a misurarsi con le sfide, non è all’altezza dell’uomo creato a immagine di Dio. Siamo chiamati – come è stato detto opportunamente – a “dire il sacro sì alla vita”.

Ma l’essenziale del sacrificio ci porta ancora più avanti. Si deve riconoscere che la sua ispirazione, la sua anima, nel suo senso più alto e più vero, va ricercata nell’amore. Il sacrificio può essere accettato e deciso anche per il bene di se stessi, per il pieno compimento della propria vocazione alla vita, ma trova la sua ultima e piena espressione nel dono di sé all’altro e si precisa nella direzione di quattro grandi virtù: la gratuità, la generosità, la responsabilità e il coraggio. Il sacrificio sposa la logica dell’offerta della vita, in contrapposizione con l’idolatria di se stessi. Indirizza lo sguardo verso il bene dell’altro, lo pone prima del bene proprio e per promuoverlo non teme dinfaticare e di soffrire, di spendersi e di consumarsi. Il sacrificio è dunque dedizione intenzionale al bene altrui, accompagnata dalla consapevole rinuncia agli interessi propri, fino al limite estremo dell’offerta della propria vita. Vi è infatti una gradazione del sacrificio, una progressione che trova riscontro nell’esperienza stessa della vita. Con l’espressione “fare sacrifici” si intende dire che si accetta il sacrificio come realtà che risponde alla verità delle cose. Non rendiamo forse merito ai genitori per i sacrifici che sostengono a favore dei loro figli? Non riteniamo forse che questo sia pienamente conforme al loro compito e a ciò che la vita domanda? Non riconosciamo questo come un’espressione significativa del loro amore?

Vi è poi il “sacrificarsi” per le persone amate. Qui l’intensità del sacrificio aumenta e mette in gioco non solo dei singoli atti, ma tutta la persona, beni materiali, energie fisiche, capacità individuali, e l’intera vita. Tutto ciò che si ha e si è prende la forma di un’offerta, di un dono gratuito, generoso e coraggioso.

Si giunge, infine, alla forma estrema del sacrificio, che consiste nel sacrificare la vita stessa, nel perderla per il bene dell’altro. Può accadere nella forma di chi si è generosamente sostituito a un condannato a morte, come nel caso di padre Massimiliano Kolbe, o di chi ha accettato con mite serenità di essere colpito da una mano assassina per difendere un territorio dall’ingiustizia, come nel caso di Don Puglisi. Ma vi è anche il caso di chi ha perso la vita come vittima innocente di una violenza cieca che ha colpito in modo indiscriminato. Penso in particolare ai fratelli e sorelle cittadini di questa terra bresciana, che abbiamo ricordato qualche giorno fa nel 50esimo anniversario della strage di Piazza Loggia. Anche il loro fu un sacrificio, che merita insieme al nostro affettuoso cordoglio e la nostra più alta considerazione. Noi vogliamo mantenere sempre viva la loro memoria e coltiviamo la sincera convinzione che la loro immolazione continuerà ad essere seme fecondo di bene per tutti noi.

Il sacrificio degli uomini e delle donne di ogni tempo si iscrive nel sacrificio di Cristo, il Figlio amato del Padre venuto tra noi come salvatore. L’Eucaristia che la Chiesa celebra rende perennemente attiva la forza di questo atto d’amore. Possa ognuno di noi, possano la nostra città e il nostro territorio attingere a questa sorgente di grazia, per edificare con coraggio una società che non tema il sacrificio e ne onori i grandi testimoni.


PIERANTONIO TREMOLADA 30 mag 2024 22:10