Il mio Paolo VI? Uno zio premuroso
La nipote Chiara Montini giudica errate quelle raffigurazioni del Papa come persona distaccata
“Il mio Paolo VI? Dapprima lo zio Battista con cui andavamo in vacanza ai Camaldoli di Gussago o nei monasteri benedettini della Svizzera. Solo in un secondo momento, crescendo, la dimensione affettiva ha lasciato spazio a quella istituzionale e lo zio è diventato il Papa”. È con queste parole che Chiara Montini racconta il “suo Paolo VI”. Molte volte nel corso degli anni le è stato chiesto di raccontare di questa straordinaria parentela e ogni volta l’aspetto su cui la nipote (è figlia di Francesco, il fratello medico del pontefice) torna è quello dello zio affettuoso e premuroso, “diverso – raccontata dall’immagine fredda e distaccata con spesso veniva presentato Paolo VI”. Così quanto apprese che lo zio Battista era stato eletto papa nella piccola Chiara e nella sorella Elisabetta (nella foto), cominciò a farsi largo la sensazione di una perdita. “Quella del Papa – racconta – è un ruolo che prevale su qualsiasi sentimento familiare. E nella mia famiglia questo aspetto fu chiaro sin da subito”. I Montini, da quel 21 giugno 1963, fecero loro questa consapevolezza, consci che la fumata bianca uscita dal comignolo della Cappella Sistina avrebbe comunque segnato anche la loro vita. “Non sempre – afferma al proposito la nipote – chiamarsi Montini è stato semplice”. Nonostante questo, però, per Chiara e Elisabetta il papa continuava a essere quello zio Battista che poco o nulla aveva a che spartire con quelle raffigurazioni di Paolo VI come persona distaccata che si volevano accreditare. “Lo zio – afferma – è sempre stato estremamente attento alla persona che aveva davanti, indipendentemente alla sua condizione. Guardava tutti negli occhi convinto che in quello sguardo ci fosse il volto di Cristo. Ti faceva sentire accolto e ascoltato”.
Tra poco meno di tre mesi Paolo VI sarà canonizzato e la nipote Chiara ancora non si è soffermata a riflettere su cosa significhi avere un santo in famiglia. “Mi capita spesso – è un suo pensiero espresso ad alta voce – di andare in Cattedrale e di fermarmi davanti al suo monumento. La mia, però, non è una preghiera, ma un dialogo nel corso del quale gli racconto le mie sofferenze, gli affido i miei pensieri e le mie preoccupazioni. Ogni volta esco da questi dialoghi scoprendo in me la forza necessaria per affrontare le sfide che ho davanti”. Chiara Montini non sa se questo sia un “privilegio” riservato a chi può vantare legami di parentela con un santo. Di certo ha consapevolezza che dietro questa forza c’è molto di quello che ha respirato in famiglia, molto di quel clima umano e spirituale a cui anche lo zio diventato papa ha potuto attingere. Una santità familiare nel quotidiano? “Forse – è la risposta di Chiara Montini – perché la santità che si respira in famiglia non è quella dei mistici o dei martiri, ma quella che aiuta ad affrontare ogni sofferenza, ogni sfida e a vedere in ogni persona un uomo da ascoltare e incontrare”. Esattamente quello che ha saputo dare lo zio Battista divenuto Papa. Ma che pontefice sarebbe oggi Paolo VI, è l’ultima domanda posta alla nipote nella definizione del ritratto del “suo “ Papa. “Sicuramente – risponde senza esitazioni Chiara Montini – un Papa capace di usare gli strumenti della modernità per annunciare il Vangelo”, e con il ricordo torna all’interesse con cui Paolo VI il primo ammaraggio di un uomo sulla luna e all’entusiasmo con cui raccontava ai fratelli del viaggio in Terra Santa.