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Brescia
di + PIERANTONIO TREMOLADA 17 giu 2022 05:59

Fare della nostra vita un dono per gli altri

Nel discorso alla città, in Piazza Paolo VI, il vescovo Tremolada ha descritto il racconto dell'ultima cena. Con un augurio finale: "Testimoniare la grazia di Dio facendo della mia vita un dono, come lui vorrà. Mentre mi consegno con fiducia nelle mani del Padre che è nei cieli, auguro ogni bene a questa Chiesa e a questa città, cui ormai mi lega un affetto sincero". Leggi l'omelia

A volte mi ritrovo a immaginare ciò che i Vangeli raccontano. Cerco cioè di ricostruire mentalmente quel che viene descritto in queste pagine straordinarie, che sono la Parola di Dio per noi. Ho provato più volte a farlo pensando all’ultima cena del Signore, perché sono convinto che sia stato per i suoi discepoli uno dei momenti più sconvolgenti e più misteriosi.

Gesù era arrivato con loro a Gerusalemme per la grande Festa di Pasqua. Lungo il cammino – che durava diversi giorni – aveva più volte parlato di ciò sarebbe accaduto nella città santa. L’evangelista Luca riporta queste parole di Gesù: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e si compirà tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo: verrà infatti consegnato ai pagani, verrà deriso e insultato, lo copriranno di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà» (Lc 18,31-33). Sempre l’evangelista annota subito dopo: «Ma quelli non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto» (Lc 18,34). Disorientati e intimoriti, i discepoli non sanno bene cosa pensare. Seguono Gesù e non osano interrogarlo. Arrivati in città, si rendono subito conto del clima. I sentimenti delle autorità nei confronti di Gesù sono ostili. Nessuna simpatia, nessuna stima, nessuna disponibilità a un confronto. All’avversione si mescolano la gelosia per il consenso popolare e il timore di un intervento violento del governatore romano. Il gran consiglio della nazione giudaica, riunito in seduta straordinaria, ha ormai deciso la morte di Gesù (cfr. Gv 11,47-53). Questo i discepoli ancora non lo sanno, ma sono molto in ansia per il loro maestro.

In tale situazione si arriva all’ultima cena. Gesù aveva preso tutti gli accordi necessari. Una grande sala al piano rialzato era stata messa a disposizione da una persona amica. Due dei discepoli erano stati inviati in città, davanti agli altri, per gli ultimi preparativi. Tutto era ormai pronto per il banchetto di Pasqua, che doveva ricordare la liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Quando ci si è accomodati a tavola, dopo che il dialogo si è avviato e la conversazione comincia ad animarsi, ad un certo punto Gesù chiede un momento di silenzio, prende il pane, recita la preghiera di ringraziamento, lo spezza in tante parti quanti sono i discepoli presenti e ne offre un pezzo a ciascuno di loro. Mentre lo distribuisce, pronuncia queste parole: «Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi». Poco dopo prende il calice e dice: «Prendete e bevetene tutti questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Sono le parole ripetute ogni volta che si celebra l’Eucaristia, parole del tutto inattese in quel momento e che i discepoli non furono in grado di capire.

Da allora l’Eucaristia è stata celebrata e adorata per secoli. Lo si è fatto dietro comando del Signore, in memoria di lui, cioè rivivendo il suo sacrificio d’amore. L’Eucaristia infatti è questo: l’offerta della vita compiuta dal Signore Gesù, che si fa attuale per ogni generazione. Corpo donato e sangue versato: un atto di libertà ispirato da un amore tanto grande quanto sincero. «Io sono il buon pastore – aveva detto Gesù – il buon pastore offre la propria vita per le pecore» (Gv 10,12). E l’autore della Lettera agli Ebrei così commenta: «Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengopoiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà … Mediante quella volontà noi siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, compiuta una volta per sempre (Eb 10,5-10).

Dietro il sacrificio di Cristo c’è la sua volontà, cioè il suo desiderio, la sua intenzione, il suo slancio dell’amore, che trasfigura la sofferenza e riscatta l’ingiustizia. Così la vittima si trasforma in sacerdote, la croce diventa un altare, il dolore innocente la via della redenzione. Ciò che muove il cuore di Gesù alla decisione di affrontare la passione è unicamente il bene di coloro che sono diventati i suoi fratelli e amici, al di là dei loro meriti e nonostante le loro colpe. Non c’è più alcun limite per chi ha fatto del dono di sé la regola della vita. Chi non cerca nulla per sé è divenuto totalmente libero. Ha conquistato una sorta di sovranità interiore. Non è più incatenato dalle passioni che lo ingannano e lo sottomettono. Pienamente immerso nel mondo, ha preso però le distanze da ciò che lo ferisce e lo corrompe. Non riesce più a tollerare un modo di pensare che fa del proprio io comodo e avaro l’esclusivo punto di riferimento. «Camminate nella carità – scrive san Paolo nella Lettera agli Efesini – nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (Ef 5,1-2). Ecco la strada da percorre: quella dell’offerta compiuta una volta per sempre dal Cristo Salvatore, un sacrificio che profuma di santità. Là dove la vita si fa dono fioriscono la pace e la gioia: le relazioni si purificano e si rinsaldano; la mano si tende nell’accoglienza e nella cura; la parola diventa balsamo per le piaghe del cuore; lo sguardo diventa benevolo e il tratto sempre più gentile. E così si contrasta e si contesta tutto ciò che nel mondo risponde alla logica opposta, la logica rapace del profitto avido, del godimento che stordisce, dell’ambizione che acceca. Quanta tristezza derivi dallo stile di una vita così impostata, lo dimostra spesso la realtà che ci circonda. Noi che celebriamo e adoriamo l’Eucaristia abbiamo fatto una scelta diversa: abbiamo compreso che c’è più gioia nel dare che nel ricevere e che la vera grandezza non sta non sentirsi superiori o nel dominare ma nel servire. Chi riceve dal Signore Gesù il pane spezzato, che è il suo corpo donato in sacrificio, riceve insieme il suo invito: «Fai della tua vita un sacrificio gradito a Dio, un dono, un’offerta che diffonda il profumo della grazia attraverso la carità».

Vi sono nella vita tempi e stagioni diverse. Negli anni che il Signore ci concede attraversiamo – per così dire – territori diversi. Il percorso della vita non è mai lineare. Salite e discese si susseguono e gli scenari mutano continuamente. Che cosa non cambia? Non cambia la fedeltà di Dio e il suo amore incondizionato per noi, cioè quanto l’Eucaristia ci attesta e ci fa celebrare. Non cambia l’appello a fare della nostra vita un dono, come avvenne per il Signore Gesù, a consumarla nel fuoco dell’amore misericordioso per l’intera umanità. Che questo avvenga spendendo la proprie energie con generosità nel tempo della piena salute o offrendo la propria fragilità e debolezza nel tempo della malattia, credo sia meno importante. Ciò che conta è lo spirito, chiamato a sintonizzarsi con l’offerta di Cristo. Il momento che personalmente sto vivendo mi rende ancora più consapevole di questa verità. Quando la prospettiva del futuro si fa incerta e la vita mostra tutta la sua provvisorietà, quel che rimane è l’amore di Cristo che ci attira a sé e ci dona la forza per aderire al suo disegno di grazia, sempre misterioso. San Paolo lo aveva ben compreso quando diceva agli anziani di Efeso riuniti a Mileto: «Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio (At 20,24). È quanto vorrei avvenisse anche per me: testimoniare la grazia di Dio facendo della mia vita un dono, come lui vorrà. Mentre mi consegno con fiducia nelle mani del Padre che è nei cieli, auguro ogni bene a questa Chiesa e a questa città, cui ormai mi lega un affetto sincero. Il Signore guidi i nostri passi sulla via della pace.

+ PIERANTONIO TREMOLADA 17 giu 2022 05:59