Don Pernici a Gavardo
Don Luca Pernici, originario di Cogno, prima dell'ordinazione ha svolto servizio al Prealpino, all’UP-Valgrigna, a Marone e Gavardo. Il vescovo Pierantonio lo ha nominato curato di Gavardo, Sopraponte, Soprazocco e Vallio Terme
Don Luca Pernici, originario di Cogno, prima dell'ordinazione ha svolto servizio al Prealpino, all’UP-Valgrigna, a Marone e Gavardo. Il vescovo Pierantonio lo ha nominato curato di Gavardo, Sopramonte, Soprazocco e Vallio Terme.
Le gioie semplici sono le più belle”, diceva San Francesco e, forse, lo sono anche le storie di quelle vocazioni nate da un incontro semplice, coltivate e fatte crescere progressivamente negli anni sino a giungere all’ordinazione, proprio come quella di don Luca Pernici, 26 anni da Cogno..
Don Luca, qual è la storia della tua vocazione?
La storia, la storia della mia vocazione è molto semplice. Già da bambino avevo un’idea, seppur molto vaga, di voler diventare sacerdote. Un’idea nata guardando il mio parroco anziano mentre celebrava la messa e conoscendo i seminaristi che negli anni si alternavano nel servizio in parrocchia. Grazie a questa presenza la realtà del Seminario è diventata per me familiare. Negli anni dell’adolescenza, quelli della scuola media e delle superiori, la prospettiva di diventare sacerdote non mi ha mai abbondonato, era in qualche modo latente, necessitava di essere approfondita. Ho così frequentato l’istituto per geometri: sono stati cinque anni sereni e solo dopo il diploma ho compiuto la scelta, nel 2012, di entrare in Seminario.
La tua è stata una scelta che hai maturato nel tempo. C’è stato un fatto, un episodio, un incontro che ha fatto scattare la molla per dire: “Questo è il momento giusto”?
Se oggi mi guardo indietro riesco a vedere con precisione il “momento” a cui si riferisce la domanda. Il mio parroco aveva la consuetudine di organizzare un pellegrinaggio a Lourdes nel mese di giugno. Un anno, quello in cui avevo condotto a termine la prima superiore, aveva offerto a me e a un altro ragazzo che dava una mano in parrocchia l’opportunità di partecipare a questa esperienza. Nel corso di quell’esperienza ebbi modo di conoscere un sacerdote originario di Cogno. Era più giovane del mio parroco, e nel corso delle giornate trascorse a Lourdes, gli confidai l’idea che mi accompagnava sin da piccolo di poter diventare sacerdote. Da quel momento ha preso il via una sorta di accompagnamento spirituale e di discernimento, nel corso del quale anche l’ipotesi di entrare in Seminario è stata presa in considerazione. In quarta superiore il disegno sulla mia vita si era praticamente definito.
È stato facile, nel corso degli anni, condividere con gli amici, con i coetanei, la scelta di una vita dedicata al sacerdozio?
Con gli amici più stretti non c’è stato alcun problema, anzi, sono stati i primi a cui ho rivelato la mia intenzione, prima ancora di dirlo in famiglia. Già alle medie avevo confidato loro quella che era la mia idea. Nessuno di loro ha mai commentato negativamente questo disegno. Ancora oggi, quando ho modo di incontrare quelli che sono stati i miei compagni di classe delle medie e delle superiori, con i quali, per altro, non avevo condiviso questo progetto, non trovo nessuno che manifesti pregiudizio o imbarazzo per la mia scelta. Forse sono stato particolarmente fortunato. Anche in famiglia non c’è stata alcuna resistenza, forse perché avevano intuito quello che andavo maturando. In loro c’è stato il desiderio, però, di conoscere la realtà del Seminario.
Diventi sacerdote a un’età in cui per tanti coetanei il momento delle scelte definitive e dell’assunzione delle responsabilità è ancora lontano. Ti senti un privilegiato?
Come ogni scelta definitiva anche quella del sì che pronunceremo l’8 giugno davanti al Vescovo è frutto di un percorso di maturazione, fatto di tanti interrogativi che hanno richiesto la ricerca della risposte. L’esserci arrivato a 26 anni non è certo frutto di superpoteri o di atti eroici; così come non credo che altri giovani che giungono al momento delle scelte più avanti negli anni lo facciano perché sono deboli. Ripeto, forse sono solo fortunato, ma anche nella cerchia dei miei amici ci sono ragazzi che hanno la mia età e si sono sposati e hanno messo su famiglia, e lo hanno fatto con grande senso di responsabilità. Anche in questo caso devo dire che forse abbiamo incontrato sul nostro cammino chi ha saputo accompagnarci a compiere queste scelte, chi ci ha aiuto a prendere sul serio la nostra vita.
In tutti questi anni non c’è mai stato un momento di crisi, il dubbio che la tua strada potesse essere un’altra?
Il non avere avuto momenti di grossa crisi non significa che nel mio cammino non abbia avuto situazioni in cui sono stato chiamato a interrogarmi, a verificare se quella intrapresa era veramente la strada giusta. Il passaggio dalla vita in famiglia a quella della comunità del Seminario, prima, e quello dalla propedeutica al Maggiore poi, sono stati snodi importanti che mi hanno costretto a fare chiarezza dentro di me, a domandarmi in modo profondo se la strada che stavo per intraprendere era veramente quella che il Signore mi indicava. Sono stato chiamato a verificare se quel modello di sacerdote che mi ero costruito negli anni in cui la “chiamata” era rimasta latente, era compatibile con ciò che la vita in Seminario mi chiamava a essere. Fortunatamente ho trovato le risposte che andavo cercando nelle esperienze pastorali vissute negli anni della formazione e nell’incontro con tanti altri sacerdoti. Per altro il cammino di questi anni mi ha aiuto a superare un elemento di crisi che ho sempre avuto in me: il bisogno di certezze e la fatica di lanciarsi. Gli anni del Seminario, con tutti i suoi incontro, mi hanno aiutato invece a comprendere la bellezza dell’affidarsi, del fidarsi.
Cosa significa la “bellezza dell’affidarsi, del fidarsi”?
Non riesco a trovare una definizione così efficace per rendere questa bellezza, che si percepisce soltanto vivendola. In questi anni ho avvertito come significa affidarsi al Signore, fidarsi di lui grazie alle persone che ha messo sul mio cammino. Non credo sia stato un caso avere conosciuto quel sacerdote che ha avuto un ruolo importantissimo negli anni della mia adolescenza, che mi ha aiutato a prendere in mano la mia vita, o tutti quegli altri sacerdoti incontrati negli anni del Seminario che mi hanno fatto comprendere la ricchezza dell’essere prete, che mi hanno aiutato ad affrontare i dubbi incontrati. Ho trovato nelle loro parole, nella loro testimonianza le risposte che cercavo. Questo per me è fidarsi e affidarsi: dire il mio sì e buttarmi con tutto me stesso in un ministero a cui il Signore mi chiama, sicuro che non mi lascerà solo. C’è una frase del vangelo di Matteo che mi dà tanta sicurezza ed è “Egli vi precede in Galilea”. Questo mi dà la certezza che ovunque sarò chiamato a vivere il mio servizio sacerdotale, là troverò Dio che mi attende.
Cosa è per te il bello del vivere?
Il bello del vivere? Sicuramente il potermi spendere da prete per la comunità e nel servizio che il Vescovo vorrà affidarmi. Il bello del vivere è poter incontrare una comunità con cui camminare e crescere insieme, giovani e meno giovani che sono disposti a scommettere sulla vita, ognuno nella strada a cui è chiamato.
Un’ultima domanda. Più volte hai fatto cenno al ruolo importante che ha avuto un sacerdote nella tua vita. Questo “don” ha un nome e un cognome?
Sì, si tratta di don Guido Menolfi, oggi in servizio come vicario parrocchiale nelle comunità di Montichiari, Vighizzolo e Novagli. Mi ha accompagnato negli anni, per me importanti dell’adolescenza, quelli in cui, come ricordavo, il disegno di dedicare la mia vita al sacerdozio è andato facendosi progressivamente più chiaro. Ma con lui, come ho già sottolineato, ci sono stati tanti altri sacerdoti che con la loro testimonianza mi hanno fatto capire la bellezza dell’essere prete che non si può “costringere” in strette categorie se non quella che le comprende tutte, di essere “uomini di Dio”.