Don Peppino, per amore di tutti
L’insegnamento di don Giuseppe Tedeschi, storico direttore de “La Voce del Popolo” e de “La madre cattolica”, cappellano militare e figura centrale nel mondo dell’educazione e della scuola, a 50 anni dalla scomparsa
Don Giuseppe Tedeschi (1883-1973) è stata una delle figure più luminose del clero bresciano del Novecento. Su di lui nel 1976 il Ce.Doc. ha pubblicato – in collaborazione con l’editrice La Scuola – una biografia, a cura di Don Antonio Fappani, dal titolo “Per amore di tutti” e l’anno successivo un breve profilo a cura di mons. Ernesto Zambelli.
Don Peppino, come comunemente era chiamato, fu un giornalista di razza e un educatore attento alle esigenze della società del suo tempo. Diresse per anni “La Voce del popolo” e il mensile “La madre cattolica”; nel contempo collaborò con l’Editrice La Scuola, animata allora da mons. Angelo Zammarchi e Vittorino Chizzolini, in modo particolare scrivendo per la rivista “Scuola italiana moderna”, dove si firmava col nome di “fra Galdino”.
Insegnante di religione nelle scuole delle Orsoline e delle Canossiane e anche negli Istituti magistrali pubblici, a causa del suo antifascismo nel 1925 venne allontanato dalla direzione della “Voce del Popolo”. Nel 1940 volle partire come cappellano militare in Marina, affrontando con coraggio gravi pericoli, quali il siluramento della nave ospedale Arno, sulla quale prestava servizio. Tornato a Brescia nel febbraio 1943 riprese instancabile il suo lavoro, che venne una volta ancora troncato dalla persecuzione fascista, che lo costrinse a vivere in clandestinità. Il secondo dopoguerra lo vide impegnato, fino agli anni più avanzati, in un’intensa attività pastorale ed editoriale di assistenza alle associazioni cattoliche, sempre aperto ai problemi e ai nuovi orizzonti della Chiesa e della vita italiana.
In merito all’attenzione di don Peppino all’educazione e al mondo della scuola, riportiamo una delle tante riflessioni firmate ‘fra Galdino’, dal titolo “A finestra aperta”, riportata nel volume “Uomini e cose”, pubblicato dall’Editrice La Scuola nel 1963: “A finestra aperta… Mi piace guardare dalla finestra, nella via, venire i miei ragazzi. La finestra dà aria alla classe. Al mattino, quando la spalanco, sembra dirmi: ‘Animo grande, maestro, animo aperto!’ – e questo simbolico invito mi fa bene. La finestra – occhio aperto sul mondo – sembra dirmi che devo preparare i miei monelli ad affrontarlo, a possederlo. Il mondo nel quale si trova la famiglia dove essi vivono e quella in cui vivranno, il mestiere che eserciteranno, la strada che succhierà ora per ora i loro passi, quando s’avvieranno verso il loro destino. Mi risuonano all’orecchio le parole di Cristo: ‘io vivo nel mondo ma non sono del mondo’. La finestra aperta mi dice che devo dare ai miei figliuoli la capacità di conservare la loro indipendenza, la loro personalità, per quando saranno tra uomini, tra vizi e virtù, negli affari e nelle fatiche, confusi nella massa anonima”.