Don Filippo Zacchi: la musica e...
Quello di don Filippo Zacchi, classe 1994, originario di Verolanuova, è un sorriso che coinvolge non appena intercetta lo sguardo. Diacono nella parrocchia Sant’Angela Merici, nel quartiere di San Polo, si prepara a pronunciare il suo “sì” per sempre. Non nascondendo l’emozione, ha parlato a cuore aperto di sé e del suo cammino e di quanto la decisione di intraprendere la strada del seminario sia stata graduale. Non una vera e propria rivelazione, ma un sentimento di inquietudine che ha iniziato ad accompagnarlo già dal periodo scolastico. Nella sua vita recita un posto preponderante la musica per la quale ha speso molti anni di studio. Ma forse ha compreso che la strada da percorrere era un’altra. Gli è comunque servita. Attraverso le note del pentagramma si è formato e si è aperto alla dimensione del trascendente. Per Benedetto XVI (il Papa emerito non ha mai fatto mistero di essere un appassionato di Bach) la musica, forse più di altre arti, ha il potere di “aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto”. Ci si può accostare alla musica come a un’esperienza privilegiata per meditare sul senso della nostra vita e sul rapporto che noi, attraverso la musica, possiamo instaurare con Dio. “La musica come arte – scriveva sempre Benedetto XVI – può essere un modo particolarmente grande di annunciare Cristo, perché riesce a renderne percepibile il mistero con un’eloquenza tutta sua”. Oggi, infatti, la grande passione per la musica, con quel pianoforte che ha iniziato a suonare all’età di sette anni, lo sostiene nel suo cammino di fede. Nel 2018 si è anche diplomato in pianoforte in Conservatorio. Nel percorso di formazione in Seminario ha svolto il suo servizio nelle parrocchie di Folzano e di Roè Volciano e ha fatto due esperienze significative di volontariato (al Cottolengo e al Nikolajewka) che l’hanno segnato in maniera positiva.
Com’è nata la tua vocazione?
La decisione di intraprendere il percorso del Seminario è stata graduale. Avevo un’inquietudine dentro. Durante le superiori, mi sono chiesto più volte che cosa fosse questa inquietudine. Alcuni amici mi hanno consigliato e mi hanno aiutato a rispondere alla domanda: “Signore, che cosa vuoi dalla mia vita?”.
Quali sono le sensazioni che ti accompagnano in queste settimane?
Ci sono tanti sentimenti anche contrastanti. Ad oggi, prevale la gioia e la consapevolezza di un dono che sto per ricevere: diventare preti è un dono del Signore, è un qualcosa che non riusciamo ad afferrare e a comprendere completamente, ma questo del resto vale per tutte le vocazioni. Gioisco per questo dono. La gioia è sicuramente il sentimento prevalente, ma poi ovviamente c’è anche trepidazione.
Negli anni in cui ha pensato alla vita consacrata nel sacerdozio potesse essere la mia, ha provato anche un po’ di tristezza.
La mia vocazione al sacerdozio non è maturata per esclusione, ma per elezione. Potevo fare tante cose, ma sono felice perché ho scelto il cammino pensato dal Signore per me. Ho sperimentato una felicità di fondo, il che non vuol dire che non ci siano mai stati momenti di smarrimento. Ho deciso liberamente. In certi frangenti ho smesso di pensare, perché della nostra vita non riusciamo a capire tutto. Conta l’affidarsi. È stato più uno slancio del cuore. Sei anni fa non sono entrato in Seminario sapendo che oggi sarei diventato prete, ma ho provato a farmi conoscere dalla Chiesa, dai miei compagni, dalle persone che mi hanno seguito, e facendomi conoscere da loro mi sono conosciuto anch’io”. Piano piano ho capito, cogliendo sempre alcuni indizi.
Come è stata accolta la sua decisione in famiglia?
La mia famiglia ha accolto bene, con estrema felicità, la notizia. Forse i miei genitori se lo aspettavano. Mi hanno lasciato libero e dato fiducia. Quando mi hanno visto felice, sono diventati felici anche loro. Non è sempre stato tutto facile, anche per la lontananza da casa visto che sono figlio unico. La felicità di fondo ha reso felici anche loro. I miei amici hanno reagito in modi diversi. Qualcuno era contento, qualcuno ha fatto più fatica. Posso dire poi di avere trovato sempre un grande incoraggiamento e una grande fiducia nelle persone che ho incontrato. Naturalmente le amicizie in questi anni sono un po’ cambiate, in alcuni casi si sono evolute. Continuo a vedere alcuni amici storici con i quali la relazione si è cementata ancora di più perché hanno visto che mi ero messo davvero in cammino.
Nella tua vita occupa un posto determinante la musica.
La musica nella mia vita ha un posto fondamentale. Mi accompagna fin da bambino, da quando a sette anni ho iniziato a suonare il pianoforte. E ha avuto il suo peso nella mia scelta vocazionale. Chi studia musica, è a contatto con un linguaggio universale capace di descrivere quello che le parole a volte non riescono a tratteggiare. Nella musica l’uomo esprime i suoi sentimenti. Nel rapporto con Dio la musica è efficace. Nel corso della storia gli uomini si sono spesso affidati a questo linguaggio per poter dire ciò che c’era di più profondo in loro. Ascoltare la musica dei credenti di ogni tempo e la musica di chi ha messo nelle note il proprio anelito per la fede aiuta ad aprirsi all’ineffabile e al trascendente.
La Chiesa riesce ancora a dare una risposta alle domande dell’uomo contemporaneo?
Testimoniare la fede oggi non è affatto facile: è un momento in cui non viene spontaneo credere. Non si tratta però di un aspetto meramente negativo. Nella fatica di credere si può trovare l’occasione per rivedere le motivazioni del proprio Credo. In questa fatica si possono ritrovare le ragioni della propria fede. Le provocazioni sono quelle che mi hanno aiutato a crescere. Non sono spaventato dal fatto che il contesto in cui viviamo sia apparentemente estraneo alla fede. Nel cuore delle persone le domande di fede non muoiono mai. Ho la certezza che senza Cristo una persona non può essere felice. Se anche lo allontani o lo metti da parte, il cuore ha sete di Cristo. La fede con i suoi limiti tenta di dare una risposta a questa sete. Gesù ci ha detto che dobbiamo essere come il lievito nella pasta: il lievito anche in piccole quantità è capace di cambiare la qualità della pasta nel quale è inserito. Come cristiani abbiamo tante occasioni per essere ogni giorno lievito nella pasta.
C’è un Santo al quale sei particolarmente legato?
Il mio santo di riferimento è Paolo VI. L’ho conosciuto meglio in questi anni sia in occasione della beatificazione sia in occasione della canonizzazione. Seguendo le tappe della Chiesa bresciana per questi due grandi eventi, ho potuto meditare e leggere alcuni scritti e interventi. Per me rappresenta un punto di riferimento e lo invoco perché accompagni il mio ministero. È una figura molto vicina.
*Hanno collaborato Marco Innocenti ed Elisa Belussi