Dal servizio in tavola alla mensa...
Classe 1991, la vocazione del giovane Federico Corsini di Irma è nata in classe (diploma alberghiero), frequentando le attività della parrocchia, la Messa come chierichetto e i gruppi di preghiera
Quando si è iscritto alla scuola alberghiera, non aveva ancora maturato la decisione di entrare in Seminario, ma qualcosa sicuramente albergava nel suo cuore. Aveva avuto la fortuna di vivere nel piccolo paesino di Irma dove la comunità è un unicum: lì la parrocchia è ancora un elemento di aggregazione positiva. Molti ragazzi crescono nelle stanze della sacrestia attraverso il servizio come ministranti. “Sì, l’unico modo per stare insieme era – racconta – fare i chierichetti”. Ma per una vecchia consuetudine dopo la terza media diventa più complicato salire sull’altare a prestare un servizio importante. Don Federico, però, ne sente la mancanza. “Non riuscivo ad abbandonare l’idea di fare il chierichetto. Mi sono chiesto – continua – se non ci fosse un altro modo per continuare a servire il Signore. L’ho detto subito al parroco, ma, inizialmente, mi ha giustamente frenato un attimo”. Decide così di iscriversi all’Istituto Alberghiero visto e considerato che con i genitori gestori di una trattoria aveva già avuto modo di sperimentare l’arte della gastronomia. Durante le superiori frequenta, comunque, gli incontri vocazionali nella comunità del Seminario minore, perché la sua domanda di senso sulla vita non riesce a trovare una risposta esaustiva. Poi, come spesso succede, sono gli incontri che facciamo a risultare determinanti. Nel caso di don Corsini diventa decisiva la figura di un seminarista (oggi sacerdote) entusiasta: “Se lui è felice, perché non posso esserlo anch’io?”. A volte basta veramente poco per irradiare, con la propria testimonianza, amore. E così, dopo la maturità, la scelta “coraggiosa” di entrare in Seminario “sostenuto dalla famiglia e dai preti che avevo conosciuto. Il Signore – confida – mi ha chiamato dal servire la tavola degli uomini al servire la Mensa del Regno”. L’incontro decisivo per la sua vocazione è figlio anche di una preghiera intensa affidata alla Madonna nel santuario della Misericordia di Bovegno, luogo privilegiato di devozione mariana per tutta la Valtrompia. Lì il giovane di Irma ha cercato di capire qualcosa di più sulla sua vocazione. “La devozione mariana – spiegò Benedetto XVI nel 2011 in occasione dell’affidamento a Maria dell’Italia per i 150 anni dall’unità politica – trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio”. E don Federico ha fatto spazio a Dio nel suo cuore. Un altro momento determinante nel suo cammino è rappresentato dal pellegrinaggio di Pasqua a Lourdes con gli ammalati. “Sono particolarmente devoto a Maria, a lei ho affidato i miei dubbi e poco dopo ho avuto l’opportunità di conoscere il seminarista che ha rappresentato una svolta importante nella mia vita. La Madonna mi aiuta sulla strada dell’umiltà: mi sento molto piccolo rispetto al dono così grande del sacerdozio come mi sento piccolo a Ospitaletto. Lei che ha accolto nel suo grembo il figlio di Dio mi insegna ad accogliere”. Il 10 giugno è pronto a dire il suo sì per sempre. Esemplari le parole di chi in queste settimane l’ha incontrato e gli ha semplicemente detto che il sacerdozio “è un dono grande e i più grandi doni si devono accogliere e basta” senza tentennamenti.
Il riferimento. C’è una frase, presa dalla Prima Lettera ai Corinzi al capitolo terzo, che ritorna più volte nei suoi pensieri: “Tutto è vostro, ma ricordatevi che voi siete di Cristo e Cristo è di Dio”. “Paolo parla alla comunità frammentata di Corinto. Il suo discorso mi ha sempre affascinato e mi aiuta quando incontro le comunità parrocchiali dove ogni giorno si corre il rischio della frammentarietà, del seguire il prete di turno... Noi, semplicemente, apparteniamo a Cristo. San Paolo con queste parole trasmette la comunione e l’unità della Chiesa. Vedo nella volontà dei superiori la volontà di Dio. Lui sa fare le cose sempre meglio di noi”.
Il modello di santità. In Seminario ogni classe ha un patrono. La classe di don Federico ha scelto San Francesco di Sales (1567-1622). Vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa, brillante scrittore e maestro di spiritualità, riuscì a far ritornare in comunione con la Chiesa molti calvinisti della regione del Chablais. Per incontrare coloro che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti” composti in uno stile agile ed efficace. Viene canonizzato nel 1665; più tardi, gli viene anche conferito il titolo di dottore della Chiesa (1877). Pio XI nel 1923 lo proclama patrono dei giornalisti. “Devo ammettere che lo conoscevo poco. Con il Seminario siamo stati anche sulla sua tomba ad Annecy. In questi anni ho avuto modo di approfondire la sua figura straordinaria di umiltà. Era Vescovo di Ginevra ma per le lotte di religione è sempre rimasto ai confini e non è mai entrato in sede. San Francesco di Sales amava dire: ‘Per essere santi non bisogna fare cose straordinarie, ma vivere straordinariamente bene le cose ordinarie’. Il suo carisma mi insegna a vivere straordinariamente bene tutti i momenti che sperimento in Seminario, in famiglia e in parrocchia: dai momenti più banali a quelli più importanti”.
Il Seminario. Un cammino lungo sette anni, un percorso di formazione che non può lasciare indifferenti. “Ho avuto modo di crescere umanamente e spiritualmente grazie all’accompagnamento del padre spirituale confermando e rafforzando la mia scelta vocazionale”. Nella sua quotidianità occupa un posto fondamentale “la preghiera della liturgia delle ore, la Messa quotidiana e la meditazione ogni mattina per un’ora sulla Parola del giorno o su un testo biblico indicato dal padre spirituale. Annualmente partecipo a un corso di esercizi, di solito, predicato da gesuiti”. Oggi non è semplice (ma è importante) riuscire a isolarsi dalla frenesia e dai rumori del mondo. “Non nascondo la mia difficoltà, soprattutto all’inizio, di trovare il silenzio interiore. Da sempre mi colpisce il fatto che Gesù nei momenti e nelle scelte decisive della sua vita si ritira in preghiera, in un dialogo personale con il Padre”.
Il futuro. Nato in un paese con pochi abitanti (meno di 100), don Corsini non ha avuto modo di sperimentare pienamente la vita dell’oratorio, ma da seminarista (all’inizio a Nuvolera e oggi a Ospitaletto) “si è immerso completamente” in questa nuova esperienza, dimostrando buona volontà e capacità di relazione. L’augurio migliore per il suo ministero e è del parroco di Ospitaletto, comunità nella quale don Federico presta il suo servizio come diacono. Don Renato Musatti inquadra così la figura (straordinariamente attuale) del presbitero nella società contemporanea: “Molti ci criticano, molti puntano il dito, molti ci chiedono di più e in modo più autentico. Ma molti ci cercano per un aiuto concreto, perché abbiamo a condividere la loro storia e abbiamo a dare loro una parola di speranza. Il Signore ci ha chiamato proprio dentro questo tempo a essere suoi preti e quindi il contesto che viviamo non è un ostacolo ma è l’occasione propizia, provvidenziale, per mettere lì dentro il sale e la luce del Vangelo”.