Costruire la civiltà dell'amore
In occasione del primo centenario dell'ordinazione sacerdotale di San Paolo VI, l'omelia pronunciata dall'arcivescovo di Milano Mario Delpini a Concesio, in occasione della Settimana montiniana
C’è un rimedio? C’è un rimedio alla rivalità? C’è un rimedio a quella ostinazione a litigare, a insistere nei confronti per affermare se stessi, a rivendicare il primato, a imporre la propria idea? C’è un rimedio alla contrapposizione dei gruppi e delle diverse organizzazioni dentro la stessa comunità cristiana?
C’è un rimedio alla vanagloria? C’è un rimedio all’atteggiamento di chi sempre esibisce i propri meriti, sempre vanta le proprie imprese, sempre si impone all’attenzione degli altri, sempre dice. “io”, “io”? C’è un rimedio alla ricerca di consenso, al collezionare riconoscimenti di meriti, al calcolare gli applausi e gli elogi, a compiacersi di essere citati, a rammaricarsi nel registrare di ricevere meno di quanto si pensa di meritare? C’è un rimedio alla meschinità? C’è un rimedio allo sguardo miope che non sopporta la misericordia di Dio e vorrebbe vedere gli altri puniti per i loro errori e se stessi premiati per i propri meriti? C’è un rimedio al disprezzo verso chi è buono, invece che severo, verso chi perdona invece che punire, verso chi ha pazienza invece di reagire con prontezza e durezza (verso gli altri, si capisce)?
C’è un rimedio alla meschinità di chi si ritiene giusto e giudica gli altri senza misericordia e non ammette che ci possa essere conversione dei peccatori? Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. L’Apostolo Paolo propone il rimedio: non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (Fil 2,3-5). Gesù rimprovera i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo perché sono inclini a giudicare gli altri e a resistere all’invito a conversione: Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credere (a Giovanni, che venne a voi sulla via della giustizia) (Mt 21,32). Come è possibile conformarsi ai sentimenti di Gesù e vincere così la rivalità, la vanagloria, la meschinità?
San Paolo VI può offrire una proposta affascinante nella preghiera con cui concluse l’omelia tenuta quando ordinò un numeroso gruppo di diaconi, per celebrare il 50.mo della sua ordinazione presbiterale. Giovanni Battista Montini fu ordinato il 29 maggio 1920. Il 17 maggio 1970 pregò così: “Vieni, o Spirito Santo, e dà a questi ministri del Popolo di Dio un cuore grande, aperto alla tua silenziosa e potente parola ispiratrice, e chiuso ad ogni meschina ambizione, alieno da ogni miserabile competizione e tutto pervaso del senso della santa Chiesa; un cuore grande e avido d’eguagliarsi a quello del Signore Gesù, e teso a contenere dentro di sé le proporzioni della Chiesa, le dimensioni del mondo; grande e forte ad amare tutti, a tutti servire, per tutti soffrire; grande e forte a sostenere ogni tentazione, ogni prova, ogni noia, ogni stanchezza, ogni delusione, ogni offesa, un cuore grande, forte, costante, quando occorre fino al sacrificio, solo beato di palpitare col cuore di Cristo e di compiere umilmente, fedelmente, virilmente la divina volontà”(Paolo VI, Omelia, nel 50° anniversario di sacerdozio del Santo Padre, 17 maggio 1970).
Chiediamo anche noi il dono di un “cuore grande”. Il “cuore grande” è l’animo educato dallo stupore: Pur essendo nella condizione di Dio il Figlio svuotò se stesso … umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,7.8). La contemplazione della storia di Gesù e la comprensione del suo significato è motivo di commozione, di meraviglia. La sua signoria non si impone con lo spavento per castighi che minaccia, per la seduzione di una gloria mondana. Si rivela Signore perché entra negli abissi della storia come uno sconfitto, per condividere la sorte degli sconfitti e così si rivela glorioso. Perciò induce allo stupore chi sosta pensoso davanti al mistero di Cristo Crocifisso e Risorto. Anche i discepoli che hanno consuetudine con il mistero sono richiamati allo stupore.
Il “cuore grande” è lo spirito abitato dalla sapienza dell’umiltà. Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. La contemplazione della via di Gesù suggerisce di seguirlo sulla stessa via. Umiliò se stesso: è l’esercizio di una matura libertà, di un affidamento senza esitazioni. Se mi affido come Gesù al Padre non cado nel nulla, neppure dovessi arrivare fino alla morte, piuttosto cado nelle braccia del Padre. Umiliò se stesso: è la pratica della sapienza che insegna a non lasciarsi abbagliare dalle apparenze, a non costruire la casa sulla sabbia, a considerare il vuoto che sta dietro molte apparenze, l’infelicità dissimulata da molte maschere. Gusta l’essenziale. Il “cuore grande” è nella persona che condivide la misericordia.
Nella sequela di Gesù è possibile condividere i suoi stessi sentimenti e perciò sperimentare quello che l’Apostolo invoca: se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Nel condividere i sentimenti di Gesù i discepoli diventano pazienti, tenaci, lieti protagonisti dell’opera affascinante che dà forma storica alla civiltà dell’amore. Dona, Signore, ai tuoi ministri un cuore grande, abitato dallo stupore, sapiente nell’umiltà, ardente di misericordia.
Dona a tutti noi, Signore, la dedizione a costruire la civiltà dell’amore che il santo Papa Paolo VI ha insegnato, ha sognato, ha indicato come missione irrinunciabile per dare volto umano a questa storia, a questa terra.