Padre Cittadini, sacerdote dell'umiltà
Nella chiesa della Pace il vescovo Pierantonio Tremolada ha presieduto i funerali di padre Giulio Cittadini, figura di riferimento della vita culturale e religiosa della diocesi. Leggi l'omelia
Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla e sentì compassione per loro”. La pagina del vangelo che è stata appena proclamata ci racconta il miracolo della moltiplicazione dei pani compiuto da Gesù e ci ricorda il sentimento che lo ha propiziato, cioè la sua compassione la folla. Un moto interiore afferra Gesù quando il suo sguardo su posa sulla grande moltitudine riunita per stare con lui. Lo avevano preceduto lì dov’era diretto ed erano venuti da ogni parte per ascoltarlo: la sua parola e la sua persona davano pace e consolazione ai loro cuori feriti e disorientati. Erano infatti come pecore senza pastore. Gesù – spiega sempre la pagina del Vangelo –aveva voluto ritirarsi in un luogo solitario dopo aver ricevuto notizia dell’uccisione di Giovanni il Battista, che Erode aveva fatto decapitare in carcere in modo crudele e assurdo. Profondamente colpito da questo fatto, Gesù desiderava trattenersi in preghiera e meditare sulla morte violenta del suo precursore, che in realtà prefigurava l’esito della sua stessa missione. Aveva così chiesto ai suoi discepoli di condurlo con la barca in un luogo solitario e di lasciarlo solo nel suo raccoglimento. Ma quando giunge con là dove era diretto, ecco ad attenderlo moltitudine di gente. Avevano intuito dove si stava dirigendo e lo avevano preceduto. Nessun moto di disappunto da parte di Gesù. Il suo sguardo abbraccia tutti e il suo cuore si commuove. Egli prende la parola e comincia a insegnare, condividendo con loro il tesoro di quella conoscenza di Dio che egli possiede e versando sulle piaghe della loro esistenza provata l’olio e il vino della speranza. Per loro poi compirà il prodigio e moltiplicherà pochi pani a disposizione dei discepoli, offrendo così anche il segno evidente del suo amore provvidente.
Mi sembra significativo e forse non casuale meditare questa pagina del Vangelo mentre diamo l’ultimo saluto nella fede a padre Giulio Cittadini. Lo sguardo di Gesù che si allarga sulla grande folla, il sentimento di commozione che viene dal suo cuore, il desiderio di lenire le piaghe, la parola sapiente che si fa dono condiviso, sono aspetti di una straordinaria opera di bene del Signore che vediamo riflessi anche nella testimonianza di questo suo discepolo, la cui vita avrà sempre un posto d’onore nelle pagine di storia bresciana che raccontano l’ultimo secolo trascorso e i primi passi di questo nuovo.
Chi ha potuto conoscere padre Giulio Cittadini più intimamente ha avuto modo di apprezzarne particolarmente la grande umanità, esaltata da una fede solida e tenace. Grande cuore, discrezione signorile, severa bonarietà, fermezza e coraggio, letizia e umorismo tipicamente filippini, ben celati ma vivi dietro il suo aspetto serio e riflessivo. Soprattutto umiltà e generosità infaticabile nella sua missione a favore di quel mondo, cui si sentiva mandato con il compito di mostrare la forza vitale del Vangelo.
La sua biografia parla da sé. Ha attraversato stagioni importanti e difficili: gli anni della resistenza, della difficile ricostruzione morale e materiale del dopoguerra, la stagione conciliare e post-conciliare. Nato a Trento da genitori bresciani il 15 febbraio 1924 – anche allora festa dei Santi patroni bresciani, come amava ricordare – bresciano di adozione, presto si trasferisce nei nostri territori e sin dai primi anni della sua giovinezza subisce il fascino dell’Oratorio della Pace, alla sequela di quelli che definirà gli amici e i consiglieri della sua vita: padre Bevilacqua, padre Marcolini e padre Manziana. Alla scuola di questi maestri la sua scelta antifascista risulta tanto necessaria quanto naturale: entra nella formazione delle Fiamme Verdi e vive l’esperienza drammatica della resistenza. Partigiano per amore e mai per vendetta, prenderà come nome quello di Manzio, in onore di p. Carlo Manziana, in quel momento deportato a Dachau. Scriverà successivamente parlando degli anni della resistenza: “Essa non fu una guerra civile nella quale ha ragione chi vince. Fondamentalmente fu una rivolta morale nei confronti di regimi spietati che minavano la dignità umana nella sua libertà di pensiero e di espressione … Una delle frasi che animava la mia Resistenza e che mi aiutava a tenere duro in momenti difficili era: “Dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà” – frase di san Paolo. O si crede in certi valori di universalità e nel rispetto della persona, oppure si crede nel predominio della razza. O si crede nella libertà del pensiero, oppure si dà obbedienza cieca ad un capo che pensa, decide e comanda al nostro posto”.
Conclusa la guerra, egli decise di rispondere alla chiamata interiore che lo voleva sacerdote presso quell’Oratorio della Pace che aveva suscitato sino a quel momento tutte le sue aspirazioni spirituali e che lo aveva sospinto a compiere tutte le sue scelte coraggiose. In questo ambiente che nella città di Brescia rappresentava una sorta di fucina dello Spirito santo, padre Giulio Cittadini prese il suo posto e divenne col tempo straordinaria figura di educatore e voce autorevole per il mondo della cultura. Come tutti gli altri padri filippini, egli seppe coniugare vita ecclesiale, attività di formazione ed educazione, proposta culturale, esempio civile, attitudine comunitaria. Scrisse non solo pagine di libri importanti ma anche pagine di storia. Soprattutto scrisse parole preziose nei cuori di tanti studenti, che nei 34 anni del suo insegnamento ebbero modo di apprezzarne, prima della capacità comunicativa e la carica affettiva. Era un grande educatore, che scaldava i cuori e dilatava gli orizzonti. Sapeva condurre al centro del messaggio cristiano perché non temeva il pensiero e combatteva una visione della religione scontata e stagnante. Era convinto che la fede non contrasta la ragione ma la eleva. Aveva del Cristianesimo una visione fresca e vitale. “Il predicatore del Vangelo – diceva – dovrebbe essere prima di tutto maestro nel suscitare stupore … La religione è la ricerca che l’uomo fa di Dio, è meraviglia, è sete di assoluto, apertura di mente e di cuore verso l’altro”. Il mondo bresciano della gioventù di quel tempo gli deve moltissimo. Fu assistente spirituale scout, direttore dell’Oratorio giovanile della Pace, Assistente della FUCI e del MEIC, collaborare dell’Istituto Pro-Famiglia. In questi molteplici ambiti trovò piena espressione la sua sincera passione educativa.
E tuttavia risulta indelebile anche l’impronta da lui lasciata nel mondo della cultura. Sotto questo profilo egli fu davvero testimone di una Chiesa autenticamente cattolica, cioè universale, aperta al mondo e alle sue diverse visioni della realtà. Tra le feconde esperienze da lui proposte e promosse spicca quella della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura. Era convinto che il Cristianesimo potesse e dovesse fermentare tutte le culture e amava rivolgersi ai vari ambienti della città e con loro confrontarsi. Uomo di speranza, non temeva di misurarsi con quello che potremmo chiamare il profilo inquieto della fede. Da chi gli è stato grande confidente sappiamo che tra le opere a lui più care vi erano le Confessioni di S. Agostino. La Chiesa bresciana gli sarà sempre riconoscente anche per il suo impegno a favore dell’ecumenismo. La sua azione volta a promuovere tra le Chiese sorelle stima, amicizia, dialogo costruttivo e preghiera comune rappresenta una pietra miliare nel cammino bresciano versa la comunione ecclesiale.
Se una parola dovessimo scegliere per portare ad una sua sintesi conclusiva la testimonianza di padre Giulio Cittadini, considerandola sul versante più strettamente personale e quasi confidenziale, credo verremmo da lui facilmente invitati a rinvenirla nella parola “umiltà”. Di questo ha scritto più volte e con convinzione. “L’umiltà – egli diceva – non è debolezza, non è passività, non è inconsistenza. È l’antidoto contro la smania ossessiva dell’autoaffermazione e del carrierismo. L’umiltà è già premio a se stessa, perché porta in se il sigillo della croce, è la gloria crucis”. Di questa testimonianza umile e insieme potente noi siamo grati a questo fratello sacerdote, che ha amato questa Chiesa e questa città, che ha coltivato e difeso con coraggio i grandi valori che stanno alla base di ogni civiltà, che ha mostrato la forza vitale del Vangelo nei diversi ambiti del vissuto umano, che si è fatto carico del gravoso e affascinante compito dell’educazione. Il Signore lo ricompensi per la sua opera generosa, che ora diviene patrimonio della nostra fede e della nostra storia.