Carità: narrare per ricordare
Leggere il Deuteronomio non è né immediato né facile, ma di certo non è un testo che parla di norme ma parla di vita. La rilettura dell’Esodo in realtà è una rilettura di una storia di grazia. Ci togliamo i sandali quando arriviamo nella terra della fragilità, della vulnerabilità e della povertà. Ci togliamo i calzari perché è terra sacra. Arriviamo in questa terra e ci ricordiamo: “Ma bada a te e guardati bene dal dimenticare”. Diremmo drammatico - no, anzi, tragico - dimenticare una storia di grazia, dimenticare la presenza di Dio nella storia della nostra vita… drammatico, tragico. E allora l’autore del testo invita il lettore a guardarsi bene dal dimenticare: “Le cose che i tuoi occhi hanno visto non ti sfuggano dal cuore nel tempo della tua vita, anzi, le insegnerai ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli”.
Che cosa significa non dimenticare, ma soprattutto ricordare il tratto di strada che abbiamo compiuto? Ognuno di noi ha un suo vissuto, i suoi incontri, la propria e altrui povertà, e la grazia che ha sperimentato. E allora è necessario non dimenticare, ma soprattutto ricordare e narrare, perché dentro le narrazioni troviamo la storia della nostra più vera e autentica umanità, la storia dell’autentica carità. In questa prospettiva, si inserisce anche Un anno con Caritas: una pubblicazione, ma soprattutto un vissuto, una storia di grazia da ricordare con il cuore, una raccolta di racconti di grazia nella creatività della carità. Son delle piccole storie, ma potenti, piccole ma potenti. È per questo che abbiamo consegnato queste storie alla narrazione scritta ma anche al racconto orale (alcune di queste storie si possono ascoltare online grazie a La Voce del Popolo – fm 88.3): le storie hanno bisogno di essere ricordate e raccontate.
Nel percorso di raccolta e di condivisione dei racconti, ci siamo imbattuti nella filastrocca di Gianni Rodari che narra di un punto, “superbioso e iracondo”, un punto fermo. Gridava: “Dopo di me ci sarà la fine del mondo!”. Le parole si sono agitate, lo hanno lasciato solo, e si è continuato a scrivere una riga più in basso. Mi sono chiesto che cosa significa per me il punto, che cosa può significare per noi mettere un punto fermo nella nostra vita o nelle nostre vite o nelle vite altrui. Può significare tante cose però io la vedo così: a volte mettiamo dei punti fermi come dichiarazioni del nostro limite, della nostra incapacità e della nostra impotenza. Mettiamo un punto, ma la vita continua e la storia va avanti. Soprattutto la storia della carità - dopo i punti fermi messi dalle nostre paure, dai nostri limiti, dalle nostre incapacità e dalla nostra impotenza - la storia continua, ricomincia, sempre una riga più in basso.
La pubblicazione di "Un anno con Caritas" è la consegna di storie e di parole nuove, scritte una riga più in basso. Nella consapevolezza che “ogni storia è una storia”. Le storie sono uniche ed irripetibili; nessuno può e nessuno deve ergersi a paradigma interpretativo veritativo delle storie altrui, se non in quella di “Chi tutte le storie le abita e le anim”a. Ogni storia è una rivelazione di mistero, di coraggio, di tribolazione, di libertà e di amore. Buone storie, una riga più in basso, a tutti/e.