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Brescia
di + PIERANTONIO TREMOLADA 12 apr 2025 23:33

Cari giovani, la luce smaschera le tenebre

Leggi l'omelia pronunciata dal vescovo Pierantonio in occasione della Veglia delle Palme

Carissimi giovani,

siate i benvenuti in questa nostra cattedrale per la celebrazione della tradizionale Veglia delle Palme. Mi dà grande gioia condividere con voi questo momento, alla soglia della Settimana Santa. 

Questa nostra celebrazione avviene quest’anno nella cornice solenne del Giubileo. Riscatto, riconciliazione, perdono, rinnovamento spirituale, conversione del cuore: sono queste le parole del Giubileo, parole che ci fanno esultare, perché ci ricordano che Dio fa grazia. 

Vogliamo questa sera meditare insieme sulla grazia che è propria del Giubileo, cogliendone il rapporto che essa ha con la luce. La grazia e la luce si richiamano: entrambe evocano la bontà e la bellezza, unite insieme, entrambe suscitano la gioia.  “Verso la luce” è il titolo scelto per l’esperienza che siamo chiamati a vivere questa sera. Si tratta di un’espressione che è tratta dal testo del Vangelo di Giovanni in cui si racconta l’incontro tra Gesù e Nicodemo, il testo che abbiamo appena ascoltato. Da qui dobbiamo dunque partire per la nostra riflessione, dall’esperienza di Nicodemo. Vediamo allora di riviverla con lui, rileggendo insieme questo testo e lasciandoci raggiungere dalla rivelazione che porta con sé.

Chi è Nicodemo? Nicodemo è un uomo che abitava a Gerusalemme e apparteneva al gruppo dei Farisei, cioè di coloro che in quel tempo si impegnavano ad osservare in modo estremamente scrupoloso tutte le regole della legge giudaica. Questa legge risaliva a Mosè, ma si era poi nel tempo enormemente sviluppata, dando vita a una vera e propria tradizione, molto dettagliata. Si trattava di più di seicento precetti, che disciplinavano l’intera vita personale e sociale del pio Giudeo. Nicodemo era dunque un Giudeo di stretta osservanza. Era inoltre uno dei capi dei Giudei e come tale faceva parte del Sinedrio, il Gran Consiglio della Nazione ebraica. Nel dialogo con lui, Gesù lo qualifica inoltre come “un maestro in Israele”: era quindi probabilmente anche uno Scriba, cioè un esperto conoscitore delle Scritture. Si trattava senza dubbio di una persona di alto profilo. 

Perché dunque un uomo così importante desidera incontrare Gesù e perché vuole farlo di notte? Probabilmente perché è preso da un sincero desiderio di conoscerlo e insieme non vuole avere problemi con i suoi colleghi. La maggior parte del Sinedrio aveva dimostrato da subito una forte antipatia nei confronti di Gesù, che si trasformerà piano piano in dichiarata ostilità e che sfocerà nella decisione finale di ucciderlo. Nicodemo rappresenta un’eccezione. Il suo è un atteggiamento di grande apertura. Egli vuole incontrare Gesù e vuole farlo con una certa calma, per potergli parlare e per poterlo ascoltare. Forse è anche per questa ragione che egli vorrebbe andare da lui di notte. Persona non sprovveduta, era consapevole che una richiesta di questo genere doveva apparire piuttosto singolare. Non era sicuro che sarebbe stata accettata, tuttavia osa avanzare la proposta. 

Perché dunque desidera così tanto questo incontro? È lui stesso a fornirci indirettamente la risposta, quando, rivolgendosi a Gesù in avvio di dialogo, gli dice: “Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”. Dunque Nicodemo, con le qualifiche di cui può fregiarsi, ha maturato la convinzione che Gesù sia un maestro, un “maestro dei maestri”, un uomo che viene da Dio e che ha un insegnamento del tutto singolare da comunicare. A questa convinzione lo hanno condotto quelli che lui chiama “i segni” che Gesù ha compiuto e di cui egli è venuto a conoscenza. Quali segni, dunque? Che cos’è accaduto finora nella vita di Gesù che ha tanto colpito un uomo così illustre? 

Il nostro brano si colloca nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni. Siamo dunque ancora all’inizio (i capitoli del Vangelo di Giovanni sono 21). Finora l’evangelista ha raccontato l’episodio avvenuto a Cana di Galilea, con il prodigio dell’acqua cambiata in vino in una festa di nozze, episodio che – dobbiamo presumere – fu risaputo in poco tempo anche a Gerusalemme. Ha raccontato inoltre della visita di Gesù a Gerusalemme per la festa di Pasqua e della sua reazione allo spettacolo che gli si presenta quando giunge nella grande spianata del tempio. Egli reagisce facendo una frusta di cordicelle e cacciando fuori dal tempio gli animali, pecore e buoi, con i loro venditori, rovesciando anche i tavoli dei cambiavalute. “Portate via di qui queste cose – dice – e non fate della casa del Padre mio un mercato” (Gv 2,16). Queste parole avevano certamente fatto in poco tempo il giro di Gerusalemme e Nicodemo sicuramente ne aveva avuto notizia. L’evangelista ha poi già riferito che Gesù, mentre era in città per la festa di Pasqua, aveva compiuto dei segni, e che questi gli avevano guadagnato consenso da parte di molti. Non sappiamo quali fossero precisamente questi segni, ma sappiamo che, più avanti, Gesù nella stessa città di Gerusalemme guarirà un paralitico e a Gerico guarirà un uomo cieco dalla nascita. L’evangelista racconterà successivamente altri prodigi di Gesù, come la moltiplicazione dei pani e la risurrezione dell’amico Lazzaro. Nicodemo ne sentirà parlare. Per ora egli è venuto a conoscenza solo dei primi segni compiuti da Gesù e questo gli è bastato per esserne fortemente colpito. Egli vorrebbe capire chi è veramente questo maestro che ha una potenza straordinaria. 

Nel dialogo che si apre, Gesù va subito al punto. Dice a Nicodemo: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio”. E poi, più avanti: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio”. È come se gli dicesse: “Sei rimasto colpito dalla potenza dei miei prodigi. Sappi che quelli sono semplicemente dei segni. La realtà a cui rinviano è un’altra, ben più importante. La potenza di Dio, la sua forza regale, il suo regno che opera in me ha come obiettivo ultimo la rigenerazione dell’uomo, una sorta di seconda nascita, una trasformazione radicale del suo cuore, una purificazione del suo desiderio e della sua volontà. Ciò avverrà per la potenza dello Spirito di Dio, che ora opera in me e che opererà in ognuno che crederà in me. Per questo, è assolutamente necessario consentire alla potenza di Dio di compiere quest’opera di risanamento”. 

Ciò che sta a cuore a Gesù è poi far capire a Nicodemo che proprio questa è la sua missione. I prodigi che egli compie rinviano a quella che è la grande opera della redenzione. Essa si compirà quando egli verrà innalzato da terra e tutti guarderanno a lui trafitto sulla croce. Allora egli attirerà tutti a sé, con la misteriosa potenza del suo amore misericordioso. “Bisogna che il Figlio dell’Uomo sia innanzato – dice Gesù a Nicodemo – perché chi crede in lui abbia la vita vera. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede non vada perduto, ma abbia la vita vera. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. 

Parole molto alte. Gesù le rivolge ad una persona che reputa degna di stima e a cui riconosce un sincero desiderio di verità. Certo non sono facili da capire per Nicodemo, che lo incontra per la prima volta. Noi però possiamo capire meglio. Qui Gesù parla di sé, della sua persona, della sua origine, della sua missione. Egli è il Figlio amato di Dio in cui opera la potenza della vita. Chi si affiderà a lui darà alla propria esistenza la sua forma più vera, ne farà un capolavoro di bellezza. Ma ciò avverrà attraverso un’esperienza di interiore trasformazione, di rigenerazione spirituale, come se si nascesse una seconda volta. 

È a questo punto che Gesù parla della luce, di quella luce che abbiamo messo a tema in questa nostra veglia. La luce fa verità. Smaschera le tenebre e insieme le vince. Si potrà dunque dire che l’esperienza della salvezza e della redenzione somiglia al passaggio dalle tenebre alla luce. C’è una vita che è prigioniera delle tenebre e una vita che è libera nella luce. Le parole di Gesù suonano così: “Gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce. Chiunque infatti fa il male odia la luce … Invece chi fa la verità viene verso la luce” (Gv 3,21). 

La frase non è astratta. Vi si intravede un invito che Gesù rivolge a Nicodemo: è l’invito a considerare ciò che sta accadendo intorno a lui, in particolare in quel Sinedrio di cui egli fa parte. Tutti quei maestri e quei dottori, quegli osservanti scrupolosi della legge di Mosè e della tradizione degli uomini, sono uomini che stanno camminando nelle tenebre. Lo dimostra il fatto che siano così ostili nei suoi confronti e che stiano maturando la decisione di ucciderlo. Essi non sono in grado di riconoscere in lui la rivelazione di Dio, la manifestazione in lui del suo amore paterno. Perché si comportano così? Perché faticano ad accogliere la sua persona e la sua parola. Non sta facendo solo del bene e in modo anche prodigioso? “Essi – dice Gesù – non amano la luce perché le loro opere sono malvagie. L’incontro con la sua persona, che è luce di vita, rende evidente la loro malvagità. Agiscono nell’oscurità perché sono figli dell’oscurità, operano di nascosto, non vogliono che le loro opere vengano alla luce. Stanno parlando alle spalle di Gesù, stanno tramando in segreto, lo arresteranno di notte sfruttando il tradimento di un amico. 

Cari giovani, questo è ciò che accade anche oggi. Questo mondo, che amiamo, è un mondo ferito, è un mondo che – come dicono i Vangeli – giace nelle tenebre e nell’ombra della morte, che facilmente si adatta alle logiche oscure e torbide. E quando questo accade, allora si odia la luce. Tutto ciò che si fa di nascosto deve rimanere nascosto e così il mondo si copre di una coltre oscura, dove il male regna incontrastato. Abbiamo qui un criterio evidente per riconoscere le opere malvagie: ciò che si fa di nascosto o alle spalle, ciò che non si vuol far sapere, ciò che è pensato, desiderato, progettato in segreto ha a che fare con l’azione perversa del male. 

Il mondo che opera di nascosto, cioè nelle tenebre, è un mondo triste e pericoloso, è il mondo di chi si è sottomesso alla tirannia dell’io, avido e cieco. È il mondo senza scrupoli, che si illude di trovare la vita calpestando ogni valore per garantirsi totale soddisfazione. È il mondo della menzogna, dell’inganno, della doppiezza, del sotterfugio, dell’ipocrisia, che poi genera la paura di essere scoperti e poi ancora la vergogna e il disonore del venire smascherati. È il mondo di chi ha l’occhio cattivo, di chi non guarda in faccia a nessuno e proprio per questo non potrà mai contare su nessuno, un mondo in cui domina la solitudine che è figlia dell’orgoglio. 

Gli si contrappone il mondo redento di chi fa la verità, di chi non teme di mostrare le sue opere e i suoi pensieri, di chi viene “verso la luce”. È il mondo di chi non ha nulla da nascondere, di chi fa tutto alla luce del sole, di chi lascia serenamente trasparire ciò che porta nel cuore. È il mondo della schiettezza, dell’onestà, della lealtà, della la trasparenza. È il mondo dei redenti, di quanti sono stati salvati dalla potenza del Cristo salvatore e hanno ricevuto in dono dal suo Spirito uno sguardo buono. Essi conoscono la luce degli occhi. 

“Dio è luce – scrive san Giovanni nella sua prima lettera – e in lui non ci sono tenebre”. Lo si incontra anzitutto attraverso la meraviglia che suscita la vera bellezza, di cui non mancano tracce nel mondo. 

C’è però l’ultima parola da aggiungere. Lo stesso apostolo Giovanni, sempre nella sua prima lettera, scrive così: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio; chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore”. Sono i due termini con i quali l’apostolo ci indirizza verso il mistero indicibile di Dio: la luce e l’amore. In Dio, luce e amore sono inseparabili. Lo saranno perciò anche in tutto ciò che sulla terra lo rivela. L’esperienza ci insegna questo: ciò che nel mondo splende di bellezza, ciò che suscita la meraviglia più grande, è l’amore generoso e gratuito, coraggioso e fedele; sono le opere di bene, la carità che si prende cura e che perdona, l’amore per propri cari ma anche per i lontani, i poveri e anche per i nemici. Questo amore è l’ultima parola che Dio ha pronunciato sul mondo, quando il Signore Gesù è venuto non per condannarlo ma per salvarlo. Il mondo, questo che noi conosciamo, non è un giardino e le tenebre lo insidiano costantemente, ma per chi apre il cuore alla potenza del Cristo redentore, la porta della vita è aperta.

Cari giovani, noi viviamo – come ci ricorda il Giubileo che stiamo celebrando – della misericordia di Dio, viviamo nella sua grazia, possiamo sperimentare la potenza della sua salvezza. Noi non siamo figli delle tenebre ma figli della luce. Camminiamo dunque nella luce, irradiamo la luce che ci ha visitato, attingiamo alla grazia scaturita dal cuore di Cristo. Non temeremo il mondo e non pretenderemo di sfidarlo, ci presenteremo come umili testimoni di una vita che sentiamo preziosa, perché nessuno potrà strapparci la nostra gioia. “Voi siete il sale della terra – ci ripete oggi il Signore – voi siete la luce del mondo … Risplenda davanti agli uomini la vostra luce, perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,14-16). 

Facciamo dunque nostra questa consegna e torniamo a camminare lungo le strade del mondo come pellegrini di speranza. 

+ PIERANTONIO TREMOLADA 12 apr 2025 23:33

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