Camminiamo insieme nelle diversità
Nel giorno dell'Epifania, in cui si ricorda l'universalità della Chiesa, il vescovo Pierantonio Tremolada ha celebrato in Cattedrale la tradizionale Messa delle Genti. Leggi il testo dell'omelia
Celebriamo con gioia la solennità dell’Epifania, la festa della manifestazione alle genti del Cristo redentore. È una festa che mette in evidenza la dimensione universale della nostra fede: il grande dono della presenza del “Dio con noi” è offerto a tutti i popoli che compongono l’umanità. Di questi popoli, delle genti di tutto il mondo, i Magi, di cui parla il Vangelo di Matteo, sono gli autorevoli rappresentanti. La tradizione cristiana e la pietà popolare ce li ha rappresentati così, con le sembianze anche fisiche di etnie diverse. Sono uomini sapienti che vengono da lontano, che giungono all’incontro con Gesù attratti dallo splendore di una stella interpretata come segno di un evento grandioso. Sono perciò anche l’esempio di una scienza non superba, di una sapienza che sa adorare il mistero eccedente, di un’intelligenza umile, riconoscente e generosa. Anche per questo motivo sono figure che sono diventate care ai cristiani di ogni tempo e hanno sempre suscitano simpatia e affetto.
I Magi giungono a Betlemme attirati dallo splendore di una stella. La luce di questo astro singolare apparso nel cielo è per loro il segno di una presenza straordinaria che il mondo ha ricevuto in dono, una nascita meravigliosa, il grande re destinato a compiere meraviglie. In realtà la luce è lui stesso: questo bambino nel quale risplende una gloria del tutto singolare. Per vederlo essi decidono di mettersi in cammino. Il re che i Magi si attendono di incontrare non nasce però a Gerusalemme, come essi immaginano, ma nel piccolo borgo di Betlemme, non nel palazzo del re ma in una grotta. Colui che porta con sé lo splendore di Dio entra nella storia degli uomini con discrezione e vi prende casa senza attirare l’attenzione. È come un seme che cade nel terreno e subito scompare per prepararsi a produrre grande frutto; è come il lievito che si mescola alla pasta per farla segretamente fermentare. Questa misericordia che coniuga umiltà e mansuetudine è principio della vita nuova che l’umanità riceve nel Natale del Signore.
Il viaggio dei Magi evoca le antiche profezie. Richiama un gesto simile compiuto dalle genti di tutto il mondo, un pellegrinaggio di cui parla un testo del Libro del profeta Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura. È il suggestivo pellegrinaggio di tutte le genti verso Gerusalemme, la città posta sul monte Sion, la città amata da Dio: “Alzati Gerusalemme, rivestiti di luce – dice il profeta – perché viene la tua luce la gloria del Signore è sopra di te … Le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni, ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te … Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda, tutti costoro si sono radunati, vengono a te”. Le genti si mettono dunque in cammino verso Gerusalemme dai diversi punti della terra. Questo dice il profeta. Perché dunque lo fanno? Che cosa cercano? Che cosa li attira? Il profeta stesso risponde: li attira la gloria del Signore che vedono riflessa in questa città, lo splendore di bellezza che è proprio del Signore e che qui trova la sua manifestazione.
Questa città è divenuta trasparenza nel mondo di Dio stesso, del suo splendore di santità. È sempre il profeta a spiegare più avanti che cosa si può trovare in questa città di decisamente affascinante. Il Signore dichiara infatti per mezzo suo: “Costituirò tuo sovrano la pace, tuo governatore la giustizia. Non si sentirà più parlare di prepotenza nel tuo paese, di devastazione e di distruzione nei tuoi confini”. Se le tenebre – come spiega bene san Giovanni nella sua prima lettera – sono l’odio che divide gli uomini tra loro e distrugge ogni forma di socialità, la luce è la pace che deriva dalla giustizia, è la comunione che vince ogni forma si inimicizia.
Nella lettura del Nuovo Testamento, questa città santa splendente della gloria di Dio, che sorge dal mistero dell’incarnazione e della morte e risurrezione di Gesù, è la Chiesa. La gloria della sua santa umanità ora è donata ai suoi discepoli e fratelli, che in lui e per lui costituiscono l’assemblea dei salvati. “Dalla sua pienezza abbiamo ricevuto – dice san Giovanni – e grazia su grazia” (Gv 1,17). E san Paolo aggiunge: “Ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto” (Col 1,12-13).
La Chiesa del Signore, città posta sul monte e riflesso della gloria di Dio nel mondo, è la Chiesa della Pentecoste. È cioè la Chiesa delle genti, della comunione nella differenza, della unità nella diversità. Chiesa delle genti con le loro lingue, le loro culture, le loro identità, i loro doni. Ma anche la Chiesa che è un solo corpo: una famiglia di popoli, popolo di Dio che si riconosce unito nell’annuncio del Vangelo, nella proclamazione condivisa delle meraviglie di Dio, nell’opera di salvezza divenuta esperienza condivisa di vita. La Chiesa è una ma non omogenea: essa sa coniugare l’unità dei diversi popoli nella forma dell’amicizia e della reciproca fermentazione. Non dunque una mescolanza che annulla le identità ma un mosaico che le esalta, dentro un quadro unitario. La Chiesa è chiamata a fornire al mondo la testimonianza di qualcosa che potrebbe sembrare impossibile, che cioè si può camminare insieme anche quando si è diversi.
Cominciamo dunque noi, noi che condividiamo la stessa fede nel Signore Gesù Cristo. Offriamo al mondo globalizzato che ci guarda in ogni luogo in cui siamo l’immagine attraente di una famiglia di popoli, di una convivialità di culture. Mostriamo a tutti come in nome di Cristo si possa stringersi la mano con simpatia, comunicare in una lingua che ci permette di comprenderci senza cancellare necessariamente la propria, sentirsi parte di una cultura che accoglie rimanendo fieri della propria e vedendola riconosciuta con rispetto e simpatia. Noi che preghiamo insieme nel nome del Signore, che celebriamo insieme i misteri di Cristo, che ascoltiamo insieme la Parola di Dio, che viviamo insieme la fraternità cristiana nella forma della stima reciproca, della reciproca solidarietà e prima ancora della reciproca conoscenza, possiamo rendere evidente il disegno di comunione che Dio ha pensato da sempre per l’umanità.
Cominciamo noi, che siamo fratelli nel Signore e, pur provenendo da diversi nazioni e continenti, ci sentiamo uno in Cristo Gesù. Non separiamoci, non creiamo recinti, gruppi che semplicemente si affiancano ma mai si incontrano, ambienti ricostruiti a immagine di quelli lasciati per sentirsi a casa là dove ci sembra di essere soltanto degli stranieri. Non è questa l’esperienza di Chiesa che il Signore si attende da noi. La Chiesa risplende della luce di gloria che è la carità stessa di Dio, il suo mistero di comunione. Nella potenza dello Spirito santo è divenuto possibile ai credenti in Cristo sentirsi uno senza essere tutti uguali. Uguali sì nella dignità ma non nella cultura, nello stile di vita, nelle tradizioni, nel modo di esprimersi.
L’umanità è chiamata ad elevare al suo Creatore un inno di lode ma questo avverrà quando le voci e i suoni saranno in reciproca armonia. La lode è Dio è sinfonica, come lo è ogni vero canto e come lo è la musica stessa quando mette in campo diversi strumenti. Se ogni voce ed ogni strumento musicale seguisse una propria autonoma melodia non avremmo certo l’effetto dell’armonia. Occorre intrecciare voci e suoni, accordarli e intonarli, eseguire l’unica melodia lasciando che ciascuno faccia la sua parte ma all’interno di un disegno complessivo. Questo deve avvenire anche nella Chiesa del Signore, la Chiesa della Pentecoste. Siamo chiamati a sentirci un cuore solo e un’anima sola. I nostri volti sono molto più importanti del vestito che portiamo. I nostri sentimenti più veri e più nobili si trasmettono con una lingua che è universale.
Cominciamo noi ad accoglierci e ad amarci tra cristiani di diverse terre ora chiamati a vivere sulla stessa terra. Questo è il primo passo che ci consentirà di compiere i successivi e di aprirci a tutti i credenti in Dio e a tutti gli uomini di buona volontà, per condividere con loro tutto che è buono e nobile, ciò che è virtù e merita lode, tutto ciò che rende onore all’umanità di ogni tempo.
Non ci illudiamo certo che il compito sia facile. Sappiamo bene quanto sia alto il rischio che gli intendimenti si fermino molto prima della soglia dell’attuazione, che cioè le parole non siano seguite dai fatti. Sappiamo anche che il cammino sarà lungo, che non dovremo pretendere di vedere subito dei risultati entusiasmanti. Dovremo essere tenaci e costanti, pazienti e risoluti. Dovremo inoltre tenere lo sguardo fisso sulle nuove generazioni, sui nostri ragazzi e giovani, il cui futuro di comunione domanda di essere costruito a partire dal presente. Molto più di noi adulti essi si sentono cittadini del mondo e insieme figli di una terra: con loro dovremo sempre meglio capire che cosa questo significa, tenendo conto delle forti trasformazioni in atto. Ma laddove la coscienza è chiara e retta, laddove il desiderio di operare per il bene è sincero, lì – ne siamo convinti – la grazia di Dio e la sua sapienza fanno sentire tutta la loro forza.
Ai Magi che giunsero dall’Oriente a Gerusalemme gli abitanti della città con alla testa il loro re riservarono un’accoglienza che non fu entusiasmante. Non seppero condividere il loro stupore per la scoperta del segno celeste, la gioia per il grande evento annunciato, la gratitudine per la rivelazione ricevuta. Non furono ammirati dalla loro decisione di intraprendere un così lungo viaggio. Qualcuno tentò addirittura di servirsi di loro per fini criminosi. Tutti sentimenti che dimostrano quanto il cuore dell’uomo può rinchiudersi in se stesso, negandosi alle grandi prospettive che in verità gli appartengono. Noi vediamo nei Magi un esempio mirabile di apertura alla universalità che è propria della nostra fede in Cristo Gesù. Il nostro grande desiderio è che la Chiesa di Cristo sappia mostrare al mondo la gloria di Dio proprio attraverso quella sorta di miracolo sociale che è la comunione universale, composizione armonica di unità nella diversità, di concordia nella varietà, di coesione nella complessità. Ci conceda il Signore di camminare decisamente in questa direzione, per offrire all’umanità di oggi una testimonianza luminosa e quindi attraente della nuova vita scaturita dal Vangelo.