Calciatore? Pilota? Ingegnere? Sacerdote
Dai sogni di bambino alla “chiamata”: il percorso del giovane Manuel Valetti (classe 1989) di Sale di Gussago che non smette di interrogarsi e di ringraziare il Signore per il grande dono ricevuto
Da bambino sognava di fare il calciatore o il pilota di Formula 1. Da adolescente, forse anche per quel sano pragmatismo che è uno dei tratti caratteristici della gente bresciana, si era immaginato ingegnere. Oggi, superati i 27 anni, sta per essere consacrato sacerdote, una missione che, forse, racchiude in sé un condensato delle sue aspirazioni giovanili. Come il calciatore il prete sa che è chiamato a fare gioco di squadra, come il pilota di Formula 1, deve essere conscio che il suo è un “ruolo” che chiede coraggio, e come l’ingegnere, è chiamato a progettare e costruire su basi che devono essere solide, che non rispondono però a regole matematiche, ma all’amore di Dio. Don Manuel Valetti, originario della parrocchia di Sale di Gussago, sorride davanti a questa sintesi, ma sa che non è poi così lontana dalla verità.
Prete. Per lui essere prete non è semplicemente avere risposto a una chiamata, “ma – afferma – lasciarsi costantemente interrogare su quello che il Signore si aspetta da me; sapere accettare, senza trasformarle in qualcosa di paralizzante, le attese della comunità che ti accoglie” e tanto altro ancora. Proprio questa ricchezza aiuta il giovane ormai prossimo al sacerdozio a rispondere alla domanda: “Perché il Signore ha scelto proprio me?”. “Effettivamente – continua al proposito don Manuel – si tratta di un interrogativo su cui mi trovo spesso a riflettere, anche perché quando immaginavo il mio futuro, le aspettative erano altre. Col tempo, però, il senso della domanda è andato cambiando e dall’esigenza di comprendere, di capire perché il Signore avesse chiamato proprio me, si è trasformata in un’occasione per ringraziarlo per quanto mi ha dato e per la grandezza della missione legata a questa chiamata”. Quel cammino, quell’evoluzione del senso e della risposta che don Manuel dà al “perché proprio me” segnano anche la sua capacità di leggere il momento della chiamata. Com’è, insomma, che un giovane che si immaginava calciatore, pilota, ingegnere si ritrova ormai prossimo al sacerdote: c’è stato un momento particolare in cui ha preso coscienza di questo progetto o si è trattato di un percorso graduale? “Se ripenso alla mia esperienza – è la sua risposta – posso dire di trovare entrambe le dimensioni. A un certo punto della mia vita è stato evidente che dentro di me andava crescendo qualcosa a cui dovevo dare delle risposte, qualcosa che catalizzava ogni mio pensiero, qualcosa che era simile, e allo stesso tempo diversissimo, all’innamoramento. Poi i guardi indietro, ripensi alla tua vita e scopri che il Signore non ha fatto irruzione all’improvviso nella tua esistenza, ma ti ha sempre parlato, magari con linguaggi che solamente col tempo sono diventati comprensibili”. E quando don Manuel ha compreso tutto questo, la risposta è diventata ovvia, praticamente scontata: sì! “Un sì – ricorda – che ho pronunciato senza curarmi troppo delle reazione che avrebbe potuto produrre in chi mi stava accanto. La mia preoccupazione, conseguenza anche di un’indole personale che mi porta a volere avere tutto sotto controllo, era quella di essere molto esigente con me stesso in relazione alla scelta che avevo compiuto. Col tempo, però, spero di avere aiutato chi mi è stato vicino, dalla famiglia agli amici a comprendere le ragioni del mio sì”. E come capita laddove ci sia una scelta da compiere, qualcuno ha compreso sin da subito mentre per qualcun altro il cammino è stato un po’ più lungo.
Scelta. Per il giovane Manuel, dopo il diploma conseguito nel 2008, quel sì ha significato l’ingresso in Seminario due anni più tardi. “Questi sette anni che stanno per concludersi – confessa –mi hanno aiutato a crescere in tutte le dimensioni della mia persona. Non c’è stata solo la formazione al sacerdozio, sono tanti anni che dal punto di vista umano non mi hanno tolto nulla, anche se all’inizio c’è stata anche una componente di fatica. Sono però convinto proprio la fatica, gli sforzi e la difficoltà siano stati importanti in un cammino complessivo di crescita”. Un cammino che il 10 giugno prossimo in Cattedrale conoscerà un altro passaggio fondamentale con quel “per sempre” che don Manuel e altri tre seminaristi pronunceranno davanti a mons. Luciano Monari. Due parole semplici ma che oggi spaventano, pur suonando per molti un po’ obsolete... “Per la verità – precisa – abbiamo già detto al Vescovo la definitività della nostra scelta in occasione dell’ordinazione diaconale del settembre 2016. Il 10 giugno in Cattedrale per noi sarà il momento della riconferma di quella scelta, per ridire una frase che nella sua formulazione a tanti può sembrare un po’ vecchia”. Quello che le due semplici parole propongono, conferma don Manuel, può sembrare un concetto che sta scomparendo dall’orizzonte di tanti giovani. “È una frase – continua – che non mi spaventa, piuttosto mi aiuta a tenere sempre vivo il senso della missione a cui sono chiamato”. Mettere un punto interrogativo dopo il “per sempre” diventa così un modo, per il giovane ormai prossimo all’ordinazione, un’occasione per rinnovare ogni giorno la sua adesione a un progetto di vita da realizzare in pienezza. “Interrogarmi ogni giorno sul senso di quella frase – afferma – mi consente di fidarmi e di affidarmi al Signore, alla fedeltà che concede anche a noi che siamo i primi a non avere fiducia in noi stessi”. Si tratta di un atteggiamento di una predisposizione che don Manuel ha imparato negli anni in seminario.