Abitano tra noi, ma ai margini
La XXX edizione del Rapporto Immigrazione è segnata dagli effetti della pandemia che sta cambiando la realtà di tutti. Quali sono i dati che abbiamo a disposizione e cosa capiamo del mondo attuale attraverso questo studio?
Il primo dato generale che emerge dal Rapporto Caritas-Migrantes è la diminuzione dei cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, che all’1/1/2021 si calcola fossero l’8,5% della popolazione totale. Per la prima volta il dato della presenza di stranieri nel nostro Paese è in calo: -5,1% rispetto alla stessa data del 2020, cioè 270mila persone in meno. Come se sparissero gli abitanti dell’intera regione del Molise. La denatalità in Italia non è stata compensata dalla popolazione straniera. Nel 2020 la diminuzione complessiva degli Italiani è stata ancora più significativa con una perdita del 6,4%, pari a 987.000 persone in meno: è come se sparissero tutti i residenti di Umbria e Valle d’Aosta. Questo è quasi certamente il dato più significativo tra le conseguenze della pandemia che ha limitato e reso difficoltosa la mobilità delle persone, anche a livello mondiale e transnazionale. La riprova ovviamente l’avremo l’anno prossimo o quando la pandemia darà maggior tregua ma il trend ormai è abbastanza assestato nel riferirci di movimenti migratori che interessano l’Italia in modo differente rispetto al passato. Capiamo senza dubbio che non è in atto alcuna invasione ma, tuttalpiù, che laddove si crea un vuoto per denatalità, invecchiamento o emigrazione dall’Italia, si riscontra una richiesta di manodopera che chiama forze dall’estero.
Quali sono oggi i principali profili di migranti e quali saranno le tendenze per i prossimi anni?
30 anni di Rapporti hanno mostrato anzitutto un dato che è sempre più consolidato: l’equivalenza tra i numeri dell’immigrazione e quelli dell’emigrazione. Circa 5 milioni di stranieri regolarmente residenti in Italia e circa 5 milioni di italiani che vivono in un Paese diverso nel mondo. Se poi guardiamo da dove gli italiani emigrano, da quali regioni italiane se ne vanno, il dato è ancora più interessante. In Lombardia, a Brescia, abbiamo circa il 20% di stranieri, mentre sono il 18% gli italiani emigrati all’estero. Anche qui ampia corrispondenza. Tra stranieri immigrati e Italiani che emigrano lo scenario di fondo è uguale. Il desiderio di condizioni migliori di vita è uguale. Il progetto di vita che punta a valorizzare le proprie competenze è uguale. L’investimento di una famiglia su un giovane perché abbia un futuro con maggiori possibilità è uguale. Sicuramente sarà interessante vedere se dopo la pandemia, con un ritorno più fluido della mobilità, i dati si confermeranno ma l’andamento statistico degli ultimi anni consente di dire che l’Italia non è più un Paese particolarmente attrattivo. Che i migranti arrivano per ragioni geografiche ma transitano volentieri verso nazioni diverse (Inghilterra, Stati Uniti, Germania e Paesi nel nord Europa in primis).
Anche questa edizione riprende il tema indicato da Papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato: “Verso un Noi sempre più grande”. L’inclusione deve diventare un aspetto quotidiano in tutti i contesti. Con quale sguardo e con quali competenze una comunità cristiana può diventare un vero approdo per chi cerca aiuto?
Dobbiamo saper essere inclusivi, questo significa puntare ad essere un “Noi sempre più grande”, cioè non ragionare in termini di contrapposizione né tantomeno di conflittualità. Non è però un generico e retorico invito a essere accoglienti. Cosa che, peraltro, già dovrebbe ispirare lo stile del cristiano, essendo un fondamentale dettato evangelico.
Come tradurre l’invito del Papa e del Vescovo all’inclusione e alla valorizzazione della multiculturalità?
Scardinando la semplicistica e falsa equazione straniero uguale bisognoso ma, al contrario, potremmo domandarci cosa possono dare alle nostre comunità le persone che vengono da altri Paesi. E parlo anzitutto di stranieri cattolici e di comunità parrocchiali. Quanto li coinvolgiamo? Quanta stima ne abbiamo? Vivono la stessa fede in Gesù Cristo ma quanto gli chiediamo di partecipare attivamente? Qualcuno di loro, che spesso sono genitori dei compagni dei nostri figli a scuola, potrebbe essere maggiormente coinvolto? Come volontario in oratorio? Come catechista? In associazioni attive in parrocchia? In questi mesi nei quali si stanno rinnovando i Consigli pastorali parrocchiali perché non sostenerne la candidatura? O il coinvolgimento tra coloro che il parroco ha facoltà di inserire? Sarebbe un modo per riconoscerne e apprezzarne le capacità; per avere un punto di vista che a noi può sfuggire; per beneficiare di un contributo che ci ricordi l’universalità della Chiesa.