Abbiamo bisogno di parole che aprono il cuore
L'omelia del vescovo Pierantonio Tremolada per la festa dei Santi Patroni, Faustino e Giovita
Celebriamo la festa dei nostri santi patroni Faustino e Giovita con fervida gioia, affidandoci sicuri alla loro intercessione. La loro amorevole protezione – divenuta particolarmente visibile nelle circostanze che oggi ricordiamo – è sempre operante e ci è di sicuro conforto. La loro testimonianza, poi, splende sempre luminosa e mantiene aperto il nostro cuore ad una perenne gratitudine.
Non possiamo tuttavia nasconderci che questo giorno tanto caro alla nostra tradizione cade in un momento ancora incerto, seppur timidamente avviato verso la tanto desiderata stabilità. L’ondata della pandemia, così pesante per la nostra comunità bresciana, sembra progressivamente attenuarsi. Voglia il Signore che possa presto finalmente esaurirsi.
A subire le maggiori conseguenze di questa situazione decisamente pesante sono stati, insieme con gli anziani, i nostri ragazzi, in particolare coloro che stanno vivendo la stagione dell’adolescenza. L’emergenza sanitaria, con tutte le sue inevitabili restrizioni e cautele, li ha costretti a sacrifici gravosi, non senza conseguenze. È anche vero, tuttavia, che quanto accaduto questi ultimi due anni ha reso ancora più evidenti aspetti importanti riguardanti la condizione attuale di vita dei nostri ragazzi. A loro vorremmo pensare in questo momento, chiedendo ai santi patroni di proteggerli e sostenerli nel loro cammino e di aiutare noi – generazione adulta – ad accompagnarli come meritano, assumendo con piena consapevolezza il nostro compito educativo.
Tutti desideriamo che i nostri ragazzi e ragazze crescano non solo in età, ma – come è detto di Gesù nel brano del Vangelo appena ascoltato – anche in sapienza e grazia, in una esperienza della vita che sia vera, libera e consapevole, ricca di valori e illuminata dal mistero santo di Dio.
Dovessimo chiedere loro: “Di che cosa avete bisogno? Che cosa desiderate? Che cosa possiamo fare per voi?”, forse non saprebbero bene cosa rispondere. Da parte mia, andando con la mente al tempo un po’ lontano che anch’io ho vissuto e provando a immaginare la risposta che darebbero a queste domande quanti tra loro sono più capaci di ascoltare il loro cuore, penso potrebbero dire così:
abbiamo bisogno di aria fresca e pulita da respirare, di ampi orizzonti in cui muoverci, di pensieri costruttivi a cui affidarci;
abbiamo bisogno di sguardi buoni, di sorrisi sinceri, di mani che si stringono, di spalle su cui appoggiarsi, di piedi che tracciano per noi il cammino;
abbiamo bisogno di parole che aprono il cuore, che liberano dalla solitudine, che riaccendono la fiducia, che offrono il perdono, che volentieri condividono il tesoro dell’esperienza;
abbiamo bisogno di esperti in fasciature di piaghe interiori, uomini e donne che sanno rialzarci da terra quando cadiamo, senza spazientirsi, senza giudicarci, senza umiliarci ma anche senza scusarci facilmente, senza essere accondiscendenti, senza difenderci quando non è giusto farlo, senza temere di correggerci.
Abbiamo bisogno di una amore vero, paziente ma anche esigente.
I nostri ragazzi ci appaiono oggi disorientati, spesso smarriti, persi in un mondo che solo apparentemente è loro amico. Li guardiamo e ci chiediamo se alcuni loro comportamenti – certo mai giustificabili – non siano anche una reazione istintiva, un modo per difendersi e un grido di aiuto,
Li vediamo pericolosamente esposti alla crudeltà. Rimaniamo sgomenti di fronte al male che alcuni arrivano a compiere, alla ferocia di cui sono capaci. Nascosti dietro il paravento delle false identità infieriscono sui più deboli senza pietà.
Assetati di relazioni, spesso non riescono a reggerne il peso: le amicizie non durano, il legami facilmente si spezzano, gli affetti velocemente si spengono.
Sono come ipnotizzati dal fascino perverso della violenza, con la quale cercano illusoriamente di darsi una dignità. Si riuniscono in gruppo e si danno alla devastazione. Perdono il rispetto per adulti e anziani. La forza del branco in realtà nasconde la fragilità di ciascuno di loro. Il cappuccio sul loro volto è una maschera che copre la loro inconfessata debolezza.
Assediati da una noia frustrante, rivendicano il diritto di prendersi lunghi tempi, anche nella notte, che poi non sanno bene come riempire. Cadono facilmente preda dei miti illusori del godimento effimero, del successo mediatico, del denaro facile. Su di loro incombe tremendo il pericolo delle dipendenze che non perdonano.
Temono la solitudine e tuttavia non riescono a contrastarla. Alcuni di loro, rinchiusi nelle stanze, fuggono da un mondo – quello reale – che fa loro paura, per entrare in un mondo – quello virtuale – nel quale cercano rifugio, come in un nido che però è privo di veri affetti.
E così succede che ci ritroviamo non di rado a piangere sgomenti di fronte alle loro scelte estreme e ci chiediamo perché arrivino a recidere in modo così drammatico il fiore della loro giovane vita.
Eppure il loro cuore è grande e sensibile. Sono loro in questo momento a difendere con più convinzione il futuro del nostro pianeta, a ricordarci la bellezza del creato, a metterci di fronte alle nostre responsabilità epocali. Quando percepiscono affetto e fiducia, quando intuiscono che il dialogo può diventare confidenza, allora emerge tutta la loro freschezza, il loro desiderio di vita, la loro appassionata ricerca di verità: le convinzioni affiorano, gli interrogativi incalzano, i sentimenti sgorgano, i desideri si svelano. E insieme spuntano le paure.
Che tempo è dunque questo nel quale – almeno nel nostro vecchio continente – i nostri ragazzi e ragazze faticano ad essere felici? Che cosa ci sta dicendo la nuova generazione attraverso il suo comportamento alcune volte sconcertante e altre volte ammirevole?
Credo ci stia rivolgendo un appello accorato: aiutateci a far emergere tutto il bello che siamo; aiutateci a cercare la verità del nostro essere; aiutateci a dare compimento alla nostra libertà. Voi che siete la generazione adulta, voi che ci avete introdotto nell’avventura della vita, siate anche coloro che ci aiutano a crescere, a divenire ciò che da sempre siamo agli occhi di Dio. Aiutateci a non aver paura del mondo e a realizzare i sogni inconfessati del nostro cuore. In una parola, siate i nostri educatori.
“In questo tempo – dice papa Francesco – tutti ci sentiamo piccoli, forse impotenti, di fronte alle sfide educative”. Guardiamo i nostri ragazzi e ragazze e vorremmo per loro tutto il bene che meritano. E poi guardiamo il mondo che li circonda, quel mondo che noi abbiamo costruito, e ci rendiamo conto che non è esattamente quello che avremmo dovuto offrire loro.
Ci siamo illusi che bastassero il benessere economico e la tecnologia in costante evoluzione. Abbiamo ciecamente confidato nella scienza e siamo stati estremamente attenti alle esigenze del mercato. Perché mai non ci siamo fatti carico, almeno allo stesso modo, delle esigenze del cuore? Perché abbiamo guardato all’umanità limitandoci alla sola dimensione orizzontale del vivere, quella della larghezza e della larghezza, e abbiamo dimenticato la dimensione verticale della vita, quella dell’altezza e della profondità? Abbiamo puntato su un sapere che fondamentalmente consegna alle nuove generazioni abilità e competenze. Abbiamo prevalentemente finalizzato l’insegnamento alla creazione di esperti nella innovazione e nella produzione. Ma cosa hanno a che vedere l’innovazione e la produzione con l’educazione? Esse lasciano nelle persone un vuoto che è tutto da colmare.
L’educazione – diceva don Bosco – è cosa del cuore. Essa chiama in causa la libertà, la verità e la relazione. Mira a fare di un soggetto non un competente ma una persona a tutto tondo, un esperto in umanità. Di questo c’è bisogno. Se guardiamo a nostri ragazzi e ragazze e pensiamo al loro presente e al loro futuro, dovremo immaginare per loro un accompagnamento che li faccia crescere in umanità. Il fine dell’educazione è infatti imparare a vivere, cioè a pensare nella verità, a decidere nella libertà, a rapportarsi nell’amore.
La riflessione dei grandi maestri ha ben identificato le dimensioni essenziali dell’educare. Grazie ad esse sappiamo in che direzione dobbiamo muoverci.
La prima direzione è quella che promuove la conoscenza di sé mentre aiuta a conoscere il mondo. Conoscere, infatti, è sempre anche conoscersi. Il sapere consegnato al ragazzo che cresce è patrimonio che entra a costituire la sua identità personale. Il sapere offre certo informazioni sempre nuove, nel contempo però attiva potenzialità e capacità, e soprattutto suscita pensieri, sentimenti, desideri, insieme a timori, resistenze e incertezze. Si tratta di un’esperienza complessa, che domanda un accompagnamento amorevole e sapiente.
La seconda direzione in cui muove l’educazione è quella di una armonica attivazione delle diverse componendi della persona. Ogni soggetto umano cresce quando ciascun aspetto che lo costituisce si mantiene unito agli altri. Al riguardo così osserva papa Francesco in uno dei suoi discorsi sull’educazione: “Ci sono tre linguaggi nell’esperienza umana: il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore, il linguaggio delle mani. L’educazione deve muoversi su queste tre strade. Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare. Occorre cioè che i tre linguaggi siano in armonia; che il bambino, il ragazzo pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, faccia quello che pensa e sente”.
Una terza strada dell’educare mira a far cogliere il rapporto tra il conoscere e il servire. Nessuno vive per se stesso. Ciò che abbiamo e soprattutto ciò che siamo non è semplicemente nostro. Si dice spesso che ognuno nella vita si deve realizzare e che a questo serve il sapere. Ma la realizzazione di sé non coincide con una cieca autogratificazione. Noi siamo qualcuno ma siamo anche per qualcuno. Siamo un dono per il mondo e il mondo ha bisogno di noi. L’educazione è incremento della conoscenza ma anche crescita nella capacità di servire. Siamo tutti chiamati a rendere più felici quelli che vivono con noi e a rendere migliore l’ambiente che ci circonda.
Una quarta linea di azione educativa è quella che promuove il senso di responsabilità. Potremmo definirla l’appello etico della libertà. Ogni decisione ha le sue conseguenze, che lo si voglia o no. Ogni vero educatore sa che deve insegnare ai ragazzi a camminare in autonomia, a scegliere e ad agire in piena libertà. Non dovrà essere per loro indispensabile. E tuttavia non dovrà lasciali soli: la libertà è infatti un dono inestimabile ma anche un compito formidabile. Lo slogan: “Faccio quello che voglio e nessuno deve domandarmi perché”, può letteralmente distruggere la vita.
Infine, una quinta prospettiva segnala il ruolo che ha nella crescita l’esperienza della bellezza. Anche in questo caso ci viene in aiuto una frase molto efficace di papa Francesco: “Non si può educare senza indurre il cuore alla bellezza. Un’educazione non è efficace se non sa creare poeti”. All’impegno nell’agire è bene sempre far precedere la gioia di vivere. I nostri ragazzi e ragazze dovranno ricevere da noi questo chiaro messaggio: dietro il tuo volto si cela un mistero di bene che agli occhi di Dio ha la forma di un capolavoro.
Educare è accompagnare e condividere, camminare insieme giorno dopo giorno, farsi presente. Chi cresce non deve mai sentirsi solo davanti al compito della vita. I veri educatori – autentici tesori per la società – sono uomini e donne dal cuore grande, persone miti e sagge, dallo sguardo profondo, dal tratto fermo e gentile. Essi hanno raccolto dall’esperienza del vivere il frutto della sapienza e sono in grado di offrirlo alle nuove generazioni. Dovessimo chiedere loro in che cosa consiste la sapienza che hanno maturato ci direbbero – facendo eco alla Parola di Dio che abbiamo ascoltato – che essa è stata piuttosto donata loro da una misteriosa grazia interiore e consiste in un sentire inesprimibile ma molto intenso, che unisce insieme concretezza e trascendenza. La sapienza è il riflesso della verità di Dio nel cuore umano, è coscienza della grandezza di ogni persona ma anche del suo limite, della dimensione necessariamente comunitaria dell’esistenza, della rilevanza che in essa hanno i valori e le virtù, del rispetto che domanda il creato.
Il saggio è colui che accoglie ogni giorno l’insegnamento offerto dalla vita, con stupore e gratitudine. Egli sa ciò che lui stesso ha imparato, in vigile ascolto. Nello stesso tempo, il saggio è colui che sa di non sapere: è consapevole che la vita ha una dimensione di mistero sempre eccedente e che le grandi domande del cuore umano rimarranno sempre aperte. La sapienza che coltiva lo rende umile anche di fronte alle coscienze dei più giovani: egli non pretende di avere risposte su tutto e non offre soluzioni a buon mercato. Indica piuttosto prospettive nelle quali camminare, senza mai legare a sé.
Il momento che stiamo vivendo rende ancora più apprezzabile il carisma della sapienza, raccomanda a tutti gli adulti di coltivarla, sforzandosi di essere per le nuove generazioni non semplicemente dei competenti ma dei maestri e dei testimoni.
In particolare, l’attuale momento storico domanda una forte alleanza tra i soggetti educanti, un patto educativo ampio, in grado di trasmettere alla nuova generazione non solo la conoscenza di contenuti tecnici, ma anche e soprattutto una sapienza umana e spirituale, fatta di comportamenti virtuosi e in grado di realizzarsi in concreto; un patto tra la famiglia, la scuola, le amministrazioni, il mondo della cultura e dello sport ma anche del volontariato.
In questo patto vorrei si inserisse a pieno titolo anche la nostra Chiesa diocesana, con le sue istituzioni e strutture. E qui colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che nelle nostre comunità parrocchiali, nei nostri oratori, nelle associazioni ecclesiali, nelle scuole di ispirazione cristiana e in tutte le altre realtà educative si stanno generosamente spendendo per il bene dei nostri ragazzi. A loro chiedo di perseverare e di aprirsi continuamente alla collaborazione con tutte le altre realtà sul nostro territorio bresciano, affinchè non manchi mai a nostri ragazzi e ragazze il sostegno di cui hanno bisogno, nella stagione più bella della loro vita.
Ai santi patroni Faustino e Giovita, giovani martiri della Chiesa universale, affidiamo il cammino educativo della nostra Chiesa e della nostra comunità civile. A loro consegniamo il proposito condiviso di un accompagnamento generoso, intelligente, creativo delle nuove generazioni. Il loro presente, sostenuto dalla nostra vicinanza e dal nostro affetto, prepari la fioritura del loro futuro.