Gleno, Vajont... racconti di incuria
Nel corso dei suoi 125 anni di storia “Voce” ha dato spazio al racconto di catastrofi naturali, spesso causate da scarsa attenzione al territorio
Un giornale “popolare” come “Voce”, secondo un impegno preso l’8 luglio del 1893 in occasione dell’uscita del suo primo numero non poteva non dedicare grande attenzione alle catastrofi naturali che si sono abbattute in 125 anni di storia sul Bresciano e in altre parti del Paese.
Gleno. Il 1 dicembre 1923, alle 7 e 15, crolla la diga del Gleno: 6 milioni di metri cubi d’acqua, fango e detriti precipitano dal bacino artificiale a circa 1.500 metri di quota, dirigendosi verso Angolo e il lago d’Iseo. Le vittime sono 356. L’evento ha risonanza nazionale. Il 3 dicembre il re Vittorio Emanuele III e Gabriele D’Annunzio arrivano a Darfo per commemorare le vittime, ma Angolo è ancora irraggiungibile. Sotto un titolo a tutta pagina “La catastrofe spaventosa del Gleno”, “Voce” scrive: “La penna ci trema fra le mani. Ritorniamo or ora da una visita alla terra desolata della nostra Valcamonica, dove il disastro s’è abbattuto, e la visione tuttora presente ci fa martellare il cuore e riempire di lagrime gli occhi. […] In un attimo famiglie intere sono sparite, dei fanciulli sono rimasti senza genitori, dei genitori hanno perduto i figli...” (8 dicembre 1923). Nella stessa pagina è pubblicato un appello del vescovo Giacinto Gaggia, che invita i fedeli a pregare per le vittime e a prodigarsi per i soccorsi e la ricostruzione: “l’elemosina raccolta speditela in Curia, e prontamente sarà inviata ai bisognosi”.
Vajont. La sera del 9 ottobre 1963, una frana nel bacino artificiale del Vajont, al confine tra le province di Belluno e Pordenone, provoca una gigantesca ondata che uccide 1917 persone. “Voce” titola a tutta pagina: “Una notte di tregenda e di morte”: “una sciagura immane si è abbattuta nella notte di giovedì, come uno spaventoso tifone, nella valle del Piave: il centro turistico di Longarone è stato completamente spazzato dalla violenza di milioni e milioni di metri cubi d’acqua traboccati (causa la caduta nel lago di una frana di proporzioni gigantesche, in pratica un pezzo di montagna) oltre il limite di sicurezza della grande diga idroelettrica del Vajont, che innalza tra i monti 261 metri di parete”. Oltre alla prima pagina, anche la seconda e la terza, riempite di grandi foto del disastro, sono dedicate al tragico evento, sotto il titolo “In 7 minuti cancellato Longarone da una valanga di acqua e fango” (12 ottobre 1963). In un commento, la versione ufficiale della società elettrica che riconduce la tragedia “nell’ordine naturale degli eventi catastrofici del tutto imprevedibili”, è messa in dubbio (“non è poi così definitiva”).
Alluvioni. Nella prima settimana del novembre 1966, a causa delle forti piogge, diversi fiumi straripano. La situazione più grave è a Firenze. “Voce” titola a tutta pagina Catena di fraternità per l’Italia devastata. Nella prima pagina è pubblicato un appello del card. Urbani, presidente della Cei (12 novembre 1966). Segue l’appello manoscritto del vescovo Luigi Morstabilini, che indice una raccolta straordinaria in tutte le parrocchie della diocesi. Le alluvioni colpiscono anche il Bresciano. Nella stessa pagina è pubblicata una lettera di don Vittorio Bergomi, parroco di Castelmella: “La rottura per centinaia di metri dell’argine del fiume Mella ha determinato l’inondazione del centro del paese, fortunatamente senza vittime, ma con centinaia di milioni di danni, gettando nella miseria e nell’avvilimento sconsolato un terzo del paese.”