Videogame Therapy: nel gioco la cura
Spazio Off, la struttura che ha sede in viale Italia, ha 23 utenti dagli 11 ai 68 anni, che soffrono di gioco d’azzardo patologico o dipendenze tecnologiche
Giocare ai videogiochi per curarne la dipendenza. Con “Videogame Therapy”, programma creato ad hoc per superare l’uso eccessivo delle nuove tecnologie, “Spazio Off” propone un metodo terapeutico innovativo. Troppo spesso l’intrattenimento videoludico viene demonizzato, similarmente a quanto accadeva negli anni Ottanta con la televisione. Questo percorso di sedute cerca, invece, di estrapolare e preservare la parte sana di questo strumento relativamente recente. L’utenza media ha un’età compresa fra gli 11 e i 25 anni. “Proponiamo un percorso minimo di 3 mesi, con incontri una o due volte a settimana – spiega Ilaria Pasinelli, responsabile di “Spazio Off” –. L’efficacia dei nostri interventi è dovuta al fatto che cerchiamo di parlare la stessa lingua dei ragazzi, soprattutto attraverso il gioco”. Centrale è l’incomprensione da parte dei genitori che, non usufruendo di videogiochi, non li conoscono a fondo e tendono ad arginare il problema proibendoli. “I genitori devono dedicare tempo ai propri figli – continua Ilaria Pasinelli –, devono essere presenti ed interessarsi alle loro passioni per poterle comprendere”. “Spazio Off” propone, quindi, un incontro psicoeducativo: non solo insegna ai ragazzi come cogliere quanto c’è di positivo nell’intrattenimento videoludico, ma spinge affinché ne fruiscano in famiglia.
L’ottica positiva. Il gioco deve essere visto sotto un’ottica differente e positiva: deve diventare cultura. “Utilizziamo videogiochi commerciali, più facili da reperire e con un linguaggio che ci permette di lavorare – commenta Paolo Di Marco, referente scientifico di “Spazio Off” –. Ci sono titoli più o meno nobili: ognuno ha una propria funzione, ma alcuni servono poco, ad esempio, gli sparatutto insegnano poche abilità, sono meno completi”. La terapia inizia, solitamente, con il gioco che crea dipendenza (ultimamente, il più gettonato è “Fortnite”), per poi far scoprire ai ragazzi nuovi titoli che siano affini alle loro esigenze. “Ci sono svariate possibilità – aggiunge Paolo Di Marco –. Le avventure testuali (ad esempio il recente “Detroit”) sono come dei film che, tuttavia, mettono il giocatore di fronte ad alcune scelte che porteranno a conseguenze ed evoluzioni narrative differenti. Il gioco è una simulazione che serve ad ottenere competenze per affrontare il resto della vita”. Gli insegnamenti positivi dei videogiochi devono, quindi, compensare le mancanze della vita reale e non limitarsi alla sfera virtuale. I disagi che portano alla dipendenza, spesso portano ad irritabilità: questa terapia fornisce un alfabeto emotivo che consente ai ragazzi di essere consapevoli delle emozioni che provano. “Durante il percorso – conclude Di Marco –, utilizziamo PlayStation, Nintendo Switch e Steam Machine. Tuttavia, prediligiamo la prima perché ci consente di lavorare su grandi schermi, rendendo l’esperienza la più immersiva possibile. Lo schermo piccolo è associato al privato e, spesso, alla vergogna”. Sempre in questo ambito, “Spazio Off” ha creato un corso di “Videogame Therapy” per operatori in ambito esclusivamente psicologico, con l’obiettivo di ricostruire alcuni elementi culturali comportamentali. Inoltre, organizzano molte serate sul territorio ed incontri con le scuole, con incontri di gioco condiviso.