Un anno dopo, ancora in prima linea
Intervista al Prefetto di Brescia chiamato dal febbraio scorso a coordinare le risposte ai bisogni creati dall’emergenza sanitaria ancora non conclusa
Dal 24 febbraio 2020, quando venne ricoverato agli Spedali Civili il primo bresciano affetto da Covid è passato quasi un anno. Al paziente “uno” in dodici mesi se ne sono aggiunti altri 58mila e rotti (il numero è in costante aggiornamento). Quasi 3.200 non ce l’hanno fatta, portando lutto e dolore in tante famiglie e in tante comunità. A organizzare sin da subito la macchina della risposta a bisogni sempre nuovi che la pandemia ha fatto e continua a fare emergere, c’è stato il prefetto Attilio Visconti, che nelle prime settimane dell’emergenza, ha sperimentato anche la malattia. A un anno di distanza continua a guidare la cabina di regia che si occupa di fare fronte all’emergenza ancora in corso. Un impegno che ne fanno la figura più indicata per raccontare cosa è stato questo anno per Brescia e con quali prospettive si possono affrontare le sfide, sanitarie e non, che la crisi ha portato con sé.
Lo scorso anno, più o meno di questi giorni, anche Brescia arrivava il coronavirus. Cosa ricorda di quei primissimi momenti?
Le primissime informazioni su questa nuova forma di virus provenivano, come noto, dalla Cina, e le immagini che arrivavano da quel Paese mi fecero subito comprendere che non si trattava di una semplice influenza. Già verso la metà di febbraio pervennero le primissime note informative di carattere scientifico su questo virus, e successivamente le indicazioni ministeriali che comportarono un confronto diretto tra la prefettura di Milano e gli altri Prefetti lombardi, al fine di coordinare i primissimi interventi.
Quale fu in quei giorni l’aspetto più difficile da gestire?
L’esperienza del lockdown totale era per l’Italia un unicum. Si trattava pertanto di capire come avrebbe reagito la popolazione nei confronti di restrizioni della propria libertà individuale e sociale, mai avute in precedenza, tenendo tuttavia sempre presente che proprio questi limiti erano assolutamente necessari per poter superare la situazione pandemica. E posso confermare, come ho sempre evidenziato lo scorso anno, che l’intera popolazione bresciana ha rispettato con grande spirito di sacrificio tutte le imposizioni previste dalla normativa anticovid.
Lei ha dovuto affrontare anche una sfida nella sfida: coordinare la regia di contrasto del contagio essendone vittima….
Malgrado che abbia contratto il virus a fine febbraio, sono stato sempre asintomatico e ciò mi ha consentito di poter gestire, anche nel periodo di quarantena che ho svolto all’interno del mio alloggio, la macchina organizzativa che ha affrontato il periodo pandemico.
C’è stato un momento in cui ha temuto che la pandemia potesse averla vinta?
No, mai. È stata proprio la risposta corale e organizzata di tutte le istituzioni bresciane, a qualsiasi livello, unitamente alla grande prova di maturità dell’intera collettività che mi hanno subito convinto che la pandemia si sarebbe potuto fronteggiare efficacemente. E così è stato.
Quali furono i punti di forza della risposta bresciana?
Vale sempre la pena di ricordare che Brescia e Bergamo, nei mesi più incisivi della pandemia, sono stati i territori maggiormente colpiti a livello nazionale, sia come numero di decessi che come ricoverati. In questo la risposta della struttura sanitaria nel suo complesso è stata efficacissima attraverso un impegno e uno sacrificio inenarrabile nel garantire la massima assistenza di fronte ad un nemico sconosciuto. Sicuramente un forte contributo è arrivato anche dal grosso lavoro dei sindaci i quali, soprattutto nei territori maggiormente colpiti dal virus, hanno saputo gestire efficacemente ogni criticità, soprattutto durante il periodo del totale lockdown sempre supportati dal generoso sforzo del volontariato di protezione civile e del terzo settore. Mi permetto anche ricordare come le stesse Organizzazioni di Categoria unitamente alle Organizzazioni Sindacali abbiano fornito un contributo importantissimo nel suggerire e condividere le strategie più efficaci nel ritorno graduale alla normalità.
A un anno di distanza come sta rispondendo Brescia?
Sicuramente la seconda ondata pandemica di ottobre, dalla quale non siamo ancora usciti, sta rallentando la piena ripresa economica produttiva della Provincia ed il ritorno alla piena normalità. Pensiamo anche ad alcune categorie, come quelle della ristorazione, che sono state fortemente colpite dalla seconda chiusura. Malgrado ciò, proprio l’esperienza maturata nel primo semestre si sta rilevando utile per poter affrontare qualsiasi criticità.
La Prefettura continua a essere la cabina di regia per coordinare le risposte alle tante sfide che nel tempo si sono aggiunte a quella sanitaria: quella economica, quella sociale, etc. Qual è, a oggi, quella che la preoccupa maggiormente?
I Web Team da me ideati nel mese di marzo si sono rilevati un modulo vincente di interazione e coordinamento di vari soggetti istituzionali per affrontare le varie questioni sia in atto che quelle che il superamento dell’emergenza avrebbe prodotto. Basti solo pensare al Web Team trasporto scolastico, nato qui a Brescia, che ha rappresentato il precedente per l’istituzione da parte del Governo del Tavolo di Coordinamento presieduto dai Prefetti. Attualmente il nostro prioritario interesse è volto ad assicurare ogni forma di supporto finalizzata alla più rapida esecuzione della campagna dei vaccini, l’unico vero strumento che ci consentirà di uscire da questa emergenza.
Cosa ha insegnato e cosa sta ancora insegnando questa esperienza all’uomo Attilio Visconti? E al Prefetto?
Ho imparato dall’esperienza pandemica innanzitutto che la vita riserva sorprese che in poche ore possono cambiare radicalmente il modo di vita dell’intera umanità che fino ad allora non riesce a concepire una cosa del genere se non prefigurando uno scenario di guerra che però spesso sono preceduti da lunghi periodi di tensione che psicologicamente ti preparano all’evento. Ma nel caso del coronavirus questo non è avvenuto!!! In secondo luogo ho imparato che non posso più fare a meno di trovare spazi all’interno della mia intimità, spazi nei quali posso riflettere con tranquillità, approfondendo e riscoprendo questioni e problemi che prima del lockdown erano relegati un po’ ai margini poiché travolti dalla frenesia della quotidianità. Infine, ho imparato che una società ha il dovere di tutelarsi e tutelare soprattutto le fasce più deboli. E per questa ragione bisognerà sempre di più investire nella ricerca scientifica ed adeguare all’emergenza il sistema di sicurezza sociale e di ascolto alle fasce più deboli.