Riumanizzare la medicina
L’Irccs, l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico per la riabilitazione psichiatrica e della malattia di Alzheimer, rappresenta un’eccellenza
Il quadro di Ferdinando Michelini, era in frammenti ma le ferite sono state riunite con l’oro zecchino. “Le ferite – racconta fra Dario Vermi, superiore dell’Irccs Centro San Giovanni di Dio e dei Fatebenefratelli – sono la sofferenza che rimane con un altro splendore”. Recuperato e restaurato, rappresenta tutti i Santi (San Giovanni di Dio, San Riccardo Pampuri…) legati all’Ordine ospedaliero. A un anno dal ritorno nella “sua” Brescia, fra Dario sottolinea che l’opera “rappresenta la nostra spiritualità. San Giovanni di Dio ci ricorda che non dobbiamo perdere di vista la nostra attenzione alla persona malata. Siamo chiamati a umanizzare, anzi a riumanizzare la medicina. Siamo un centro di ricerca che non è scollegato dalla persona. Stiamo facendo un grande lavoro per mettere insieme la ricerca e la clinica: i ricercatori lavorano al letto del malato. La ricerca non viaggia da sola ma nel tempo e con le persone. E questo dà valore e significato ai ricercatori”. Chi lavora all’Irccs si sente parte di questa umanità. “San Giovanni di Dio ci esorta a promuovere la collaborazione con i laici perché il nostro carisma è incarnato nella cura quotidiana del malato”. I Fatebenefratelli stanno vivendo una settimana di memoria e di festeggiamenti tra cui un tavolo di riflessione su come declinare il carisma di San Giovanni di Dio. “Questa profezia deve essere declinata da tutti gli operatori. La pastorale è parte integrante del nostro servizio. Abbiamo anche due operatrici laiche. Siamo gli unici che hanno degli operatori pastorali che scrivono i loro commenti sulla cartella clinica. Questo avviene a tutti i livelli sia nel campo delle demenze sia nel campo della psichiatria. Se non teniamo dei punti fermi che ci qualificano e ci caratterizzano per la nostra identità, rischiamo di essere come gli altri o peggio degli altri. Ognuno ha una sua vocazione: la nostra è questa. Se facciamo fatica, vuol dire che stiamo andando fuori strada”. Nella pastorale della salute c’è ancora un cammino da fare. “Ognuno difende troppo la propria identità e non la spiritualità. Se difendiamo troppo la nostra comunità, rischiamo di non essere più missionari. Le persone devono poter vedere l’azione missionaria curativa della Chiesa diocesana attraverso tanti rami che si esprimono in forme e carismi diversi”.
La ricerca. “Lo sviluppo delle attività cliniche – spiega Mariagrazia Ardissone, direttore generale dell’Irccs – passa dalla ricerca. Questa è la strada obbligata in una settore delicato come il nostro. La malattia mentale è percepita con un sentimento di agitazione nell’ambito familiare. Forti del riconoscimento degli Istituti di ricerche sulle malattie psichiatriche, andiamo avanti su un percorso ostico ma importante. Se non ci fossero la ricerca e lo sviluppo, non avremmo l’innovazione nella sanità e non avremmo quella traduzione della traslazionalità (partire dal letto del paziente e sviluppare protocolli e progetti di ricerca i cui benefici ritornino al letto del paziente) che rappresenta la missione di un Irccs”. Fondamentale il collegamento con il mondo accademico. “Abbiamo rapporti con le università sul territorio bresciano, italiano e internazionale. Nascono delle belle collaborazioni. Senza personale adeguatamente formato si rischia di rimanere zoppi”. “Accanto alla ricerca e all’attività di cura, il terzo pilastro è proprio la formazione” come afferma Orazio Zanetti, primario dell’unità ospedaliera di Alzheimer: “I rapporti con le università vanno in quella direzione”.
Le nuove fragilità. “A livello clinico nell’immediato e a livello di ricerca dobbiamo pensare a risposte più efficaci e dinamiche per affrontare le nuove povertà umane. E lo facciamo anche quando le risorse possono venire meno. Curare oggi vuol dire anche procurare”. Alla Cei c’è un tavolo, al quale partecipa anche il prof. Giovan Battista Tura, dedicato proprio alla salute mentale. “Abbiamo posto l’accento su queste nuove fragilità”.