Rifugio Caritas. Chiudere per accogliere
Durante i mesi estivi il Rifugio Caritas sospende il servizio. Dal 3 luglio i locali saranno messi a disposizione della Prefettura per l’accoglienza temporanea di 20 richiedenti asilo. Il bilancio del direttore Giorgio Cotelli
La perdita del lavoro, una separazione alle spalle, il non riuscire, nonostante un’occupazione, ad avere il denaro necessario per potersi permettere un’abitazione: sono solo alcune delle motivazioni che spingono le persone a bussare alla porta del Rifugio Caritas “E lo accolse in fasce” dell’ex Seminario vescovile. Dal 17 ottobre 2016 al 21 giugno 2017 il Rifugio ha accolto complessivamente 134 persone, uomini per lo più “senza tetto”. Nei mesi estivi la struttura chiuderà le sue porte. Abbiamo colto l’occasione per chiedere al diacono Giorgio Cotelli, direttore di Caritas diocesana Brescia, di trarre un bilancio di questa esperienza che lo ha portato, quotidianamente, a trovarsi a fianco dei più bisognosi.
Come si configura l’accoglienza che fornite a chi vi chiede aiuto?
L’accoglienza è un momento importante perché la persona viene accolta nel Centro di Ascolto diocesano dove, per l’appunto, viene ascoltato il suo bisogno. Non viene soddisfatto solo il bisogno di un luogo dove trovare riparo, come può essere il Rifugio durante l’inverno, ma il bisogno nell’aspetto più ampio del termine. Questa persona ha bisogno di un pasto caldo, di un letto caldo, ma forse anche di un momento di tregua per ripensare la propria vita e ripartire. Costruiamo assieme alla persona il suo progetto di vita. Certo, rifugio significa anche accoglienza per un periodo di tempo relativo al progetto. Per ogni persona c’è un tempo d’accoglienza proprio legato al progetto che si costruisce insieme.
Il bilancio di questo biennio?
È sicuramente positivo. Nove persone, lo scorso anno, finito il periodo dell’emergenza, hanno poi trovato un inserimento lavorativo, sociale e, aiutati dalla Caritas, sono riusciti a trovare un’abitazione. Si è quindi innescato un processo di autonomia. Per noi è molto importante permettere alle persone che vivono oggi nell’emergenza di reinserirsi, ritrovare una propria collocazione nella società civile e nella comunità ecclesiale.
È idea diffusa che, soprattutto fra i giovani, prevalga l’individualismo, l’indifferenza. Eppure l’accoglienza dei “senza tetto” è possibile grazie al coinvolgimento di numerosi volontari di “Farsi Prossimo”, l’associazione di volontariato delle opere-segno di Caritas diocesana Brescia, e alla solidarietà di gruppi scout, di ragazzi e giovani impegnati in cammini di carità. Cosa si sente di dire loro?
Devo dire grazie. Non è vero che i giovani sono indifferenti, loro vogliono proposte forti, chiare, in cui possano essere protagonisti. Il rifugio ha tutte queste caratteristiche. Degli oltre 100 volontari – al di là degli operatori di Caritas che coordinano tutta l’attività del volontariato – circa 70 di questi sono giovani. La loro vitalità e i rapporti di condivisione che instaurano con i nostri ospiti è veramente eccellente.
All’impegno dei volontari si affianca il sostegno economico di due importanti realtà...
Lo scorso anno il Centro Bresciano di Solidarietà ci è stato molto vicino permettendoci di far fronte ai costi e alle esigenze che comunque ha il Rifugio. Pensiamo che c’è sempre presente un coordinatore e almeno un operatore a garantire il servizio e questi sono dei costi. Si aggiungono poi le spese per il riscaldamento, senza dimenticare il catering. Noi garantiamo ai nostri ospiti sia la cena sia la prima colazione. C’è poi l’assicurazione per tutti i volontari… Ringrazio quindi il Centro Bresciano di Solidarietà come anche Fondazione Poliambulanza che con i suoi servizi ci è sempre stata vicina in questi anni. Non posso che ringraziare tutti per questa rete di solidarietà.
Qual è il profilo delle persone che bussano alla vostra porta?
A differenza di qualche anno fa, purtroppo, oggi, sono molti i bresciani che ci chiedono aiuto. Il 60% delle persone che abbiamo ospitato in questo lasso di tempo sono bresciani. L’età si è abbassata e quindi, a volte, aiutiamo anche i giovani. Alcune persone sono padri separati e altri, pur avendo un lavoro, non hanno le risorse sufficienti per garantirsi un’abitazione. Quindi nel periodo di start up, di inizio di un nuovo lavoro, ci chiedono di essere accolti, accompagnati, aiutati.
È cambiata la tipologia delle persone che nel corso del tempo abbiamo ospitato. Non si tratta più del classico clochard che solo d’inverno cerca un rifugio perché poi, comunque, la sua vita è vita di strada. Ci troviamo di fronte a situazioni diverse, a persone che avevano una casa, un lavoro, affetti: la crisi ha fatto in modo che perdessero tutto, portandole in mezzo a una strada.
Possiamo dire che il rifugio chiude parzialmente. Dal 3 luglio sino a fine settembre, infatti, i locali saranno messi a disposizione della Prefettura per l’accoglienza temporanea di 20 richiedenti asilo.
Come nel 2016 anche quest’anno, prima di inserire in formule di micro accoglienza i richiedenti asilo nelle nostre comunità ecclesiali, nelle nostre parrocchie, abbiamo bisogno di un momento di decantazione, di orientamento, di conoscenza. In questi due mesi in cui il rifugio è chiuso faremo in modo che i richiedenti asilo possano essere conosciuti, monitorati e orientati nelle micro accoglienze che da settembre le parrocchie metteranno a disposizione.