Ricordando Nikolajewka
Sabato 25 gennaio le “Penne nere” celebrano il 77° anniversario della battaglia. Nel 2020 ricorre il centenario di fondazione dell’Ana di Brescia. L'intervista al presidente Gianbattista Turrini
La storia che lega i reduci della battaglia di Nikolajewka alla città inizia nel gennaio 1946, a pochi anni dal doloroso epilogo della Campagna di Russia. Riunitisi a Brescia, alcuni appartenenti alla “Divisione Tridentina” si chiesero: “Perché lasciare cadere tutto nell’oblio?” La determinazione era forte: i compagni caduti non sarebbero stati dimenticati. E così avvenne. Il 77° anniversario della battaglia di Nikolajewka, che verrà celebrato sabato 25 gennaio, non sarà una mera operazione “memoriliastica”. L’obiettivo, anche in virtù dei 100 anni della fondazione dell’Ana di Brescia (1920-2020), è fare della ricorrenza un’occasione per commemorare i morti onorando i vivi, come ha sottolineato il presidente Gianbattista Turrini.
L’anniversario della battaglia è uno degli appuntamenti più importanti della vita cittadina. Cosa significa commemorare, a distanza di 77 anni, uno degli scontri più cruenti della storia militare italiana, ma allo stesso tempo un grande esempio di fratellanza?
È uno dei momenti più importanti per ricordare i nostri caduti e per rendere omaggio agli ormai pochissimi sopravvissuti. Prima delle festività natalizie sono andato a trovarli uno per uno. È fondamentale onorare i sacrifici che hanno vissuto. Essere scampati a una campagna come quella di Russia significa aver provato sofferenze indicibili.
Chi sono i reduci bresciani ancora in vita?
Ormai i più giovani hanno 97 anni. Pensiamo a Vigilio Bettinsoli di Lodrino e ad Angelo Viviani di Brescia, ambedue classe 1922. Non posso non ricordare Natale Boletti di Molinetto di Mazzano che quest’anno spegnerà 100 candeline. Un altro reduce valtrumplino è Giuseppe Pirlo di Gardone Valtrompia, nato nel 1921. Del 1920 è invece Luigi Amadori, detto “Gino”, di Padenghe.
C’è qualche aneddoto che le piace ricordare?
Di storie particolari ce ne sono a bizzeffe. Anche mio padre aveva fatto la campagna di Russia. I reduci, però, raccontano molto poco di quanto hanno vissuto. Del resto ricordare significa riportare a galla le sofferenze, non tanto quelle fisiche, ma soprattutto quelle morali. Tornare indietro a quegli anni vuol dire far riaffiorare alla mente i lineamenti dei compagni rimasti indietro durante la ritirata, il fatto di averli dovuti abbandonare sulla strada del ritorno. La maggior parte di loro aveva a malapena la forza di camminare. Per chi non ce la faceva non c’era scampo.
Nei giorni scorsi, a palazzo Loggia, è stato presentato il volume “Nome in codice: Ares” della medaglia d’oro al valor militare Andrea Adorno. Sembra una storia giunta dal Carso o dal Don. Qual è il legame fra le vecchie e le nuove generazioni?
La tradizione alpina continua ancora oggi grazie ai giovani che guardano con ammirazione ai nostri “vecchi”. I soldati italiani sono di stanza in diverse zone del mondo. Purtroppo, benché vengano definite missioni di pace, non è raro che i nostri ragazzi vengano impegnati in conflitti a fuoco. Proprio come è accaduto ad Adorno (allora caporal maggiore capo del 4° reggimento “Monte Cervino” ndr), nel 2010, in Afghanistan. Durante una delle operazioni a supporto dell’esercito locale, Andrea Adorno è rimasto ferito, ma ha continuato a combattere per difendere la vita dei militari del suo plotone, consentendo loro di potersi mettere in salvo.
(Le celebrazioni inizieranno nel piazzale della Scuola Nikolajewka di Mompiano. La giornata di sabato 25 gennaio si conclude con il concerto della “Tridentina” al Teatro Grande che aprirà ufficialmente il calendario degli appuntamenti messo a punto in occasione del centenario di fondazione dell’Ana di Brescia)