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Torricella
di CRISTINA SCARONI 26 lug 2018 12:28

Quella Centrale di preghiera

Villa Santa Giovanna Antida, che da un’ottantina d’anni ospita tra le sue mura le Suore della Carità, a fine settembre chiuderà

La chiamavano “una centrale di preghiera”, una casa che diffondeva serenità e pace al pensiero che tante voci si elevassero più volte al giorno in orazione. Era questo, e lo sarà ancora fino a settembre, la Villa Santa Giovanna Antida, che da un’ottantina d’anni ospita tra le sue mura le Suore della Carità. Era il 6 ottobre 1940 quando la nuova Casa Provinciale del Nord, al numero 172 di via Torricella di Sopra, aprì i battenti alle ragazze che bussavano alle sue porte. La Casa accolse le giovani che, rispondendo alla chiamata del Signore, desideravano iniziare il tempo di formazione e partecipare agli esercizi spirituali. Divenire una Suora della Carità significava donarsi a Dio per l’evangelizzazione e la promozione umana, seguendo il carisma della fondatrice della comunità, Santa Giovanna Antida Thouret. Per questo, due anni del Noviziato erano dedicati al servizio in Opere come ospedali, case di riposo, carceri, scuole, case di persone diversamente abili e di bambini e giovani soli... dove la novizia aveva la possibilità di confrontarsi con se stessa e decidere liberamente per il proprio futuro.

L’anno di edificazione della Casa coincise anche con l’entrata in guerra dell’Italia. Così il convento ospitò alcuni reparti degli Spedali Civili, in particolare il Pronto Soccorso, per fornire cure e aiuto ai feriti. Questi venivano accolti nel giardino antistante l’abitazione, così come nel refettorio adibito ad infermeria. L’aula del Noviziato ospitava invece i neonati e le loro madri, assistiti dalle Ancelle della Carità. Arrivarono gli anni ’70 e con loro la notizia della costruzione della nuova parrocchia vicina, dedicata a Santa Giovanna Antida. Le sorelle ebbero così modo di dedicare il loro tempo alla pastorale e, oltre al catechismo, si recavano nelle case a offrire aiuto alle famiglie bisognose. Durante gli anni di attesa della realizzazione di chiesa, oratorio e abitazione dei sacerdoti, i padri Carmelitani vennero accolti tra le mura della Casa Provinciale. All’ombra dei pini del giardino era ospitato l’oratorio feriale, con i tanti bambini che godevano di un ambiente verde e fresco; la scuola di lavoro e le recite avevano luogo in alcune sale; i sacerdoti vi trascorrevano giornate di ritiro; il catechismo e la scuola di canto si tenevano nello scantinato delle case Aler.

Le suore rimaste sono poche, “ricche di anni” si definiscono loro, e perciò bisognose di cure. I costi di mantenimento dell’abitazione sono ingenti e a settembre le sorelle lasceranno l’abitazione dove hanno trascorso buona parte della loro vita, per recarsi in case di riposo. Ora per le consorelle è tempo di svuotare le stanze, ed è in questo momento che, forse, si prende davvero coscienza dell’addio che presto avverrà. Lo testimonia già l’ampio refettorio che, con ormai pochi tavoli apparecchiati, appare più grande di quanto già non fosse. Ma è soprattutto la cappella che mancherà alle suore, quella cappella dal soffitto di legno e dalle vetrate colorate che negli anni hanno dipinto le pareti con tinte calde e che, in particolare in queste giornate estive in cui il sole brilla, sembrano voler regalare loro un ultimo abbraccio avvolgente. Guardandosi indietro è con sguardo riconoscente e colmo di gratitudine che ricordano chi è stato loro vicino, in particolare i padri Pavoniani e Carmelitani, i sacerdoti diocesani don Italo Uberti, don Faustino Pari e i collaboratori, il parroco don Gianluca Gerbino, mons. Enrico Tosi e don Cesare Verzeletti. Ed è con nostalgia e un po’ di tristezza che preparano le valigie, ma anche con la consapevolezza che “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande”.

CRISTINA SCARONI 26 lug 2018 12:28