Promuovere pace, costruire speranza
Il tema del simposio tenuto dai giovani di Mcl a Strasburgo rilancia sfide che saranno al centro della loro assemblea e del XIV congresso nazionale
“Promuovere la speranza e costruire la pace” è il titolo del Simposio internazionale di studi dei giovani del Movimento cristiano lavoratori (Mcl), tenuto a Strasburgo presso il Centro Culturale Saint Thomas, dal 1° al 4 ottobre scorsi. Sessantaquattro giovani provenienti da tutte le regioni d’Italia e dall’estero hanno riaffermato l’europeismo del Movimento cristiano lavoratori incontrando le istituzioni comunitarie e dialogando fra loro sulle prospettive di futuro. Il tema scelto per il simposio, però, incrocia inevitabilmente gli slogan che contraddistinguono due prossimi appuntamenti prossimi Movimento, l’Assemblea dei giovani e il Congresso nazionale.
Il primo slogan, la parola d’ordine dell’Assemblea dei giovani in programma il 20 e 21 ottobre prossimi, recita “Proiettati al futuro, seminatori di speranza. I giovani Mcl protagonisti del proprio tempo”, mentre il titolo del XIV Congresso nazionale del Movimento, che si celebrerà nel febbraio 2024, suona più come mandato che come manifesto: “Lavoro, responsabilità, passione. Una nuova semina per ricucire il Paese”. L’uno e l’altro richiamano il concetto di “semina” come metafora dell’impegno civile da cristiani nel nostro tempo. E non c’è atto più carico di speranza che il seminare.
Si può seminare in un terreno arido? Così ci sembra la nostra società dopo la dura prova della pandemia, che ha fatto pensare, durante il lockdown, che le relazioni umane potessero essere surrogate dalla tecnologia: i servizi diventano online, la spesa si fa da casa, le lezioni in videoconferenza, gli incontri diventano messaggi e il lavoro può essere svolto da remoto. Se fosse vero, una realtà associativa come la nostra non avrebbe più significato. Ma il disagio, giovanile e non solo, si incarica di smentire quell’assunto e irrobustire il senso della nostra testimonianza.
Chi si avvicina ad una realtà come la nostra sa che la comunità nella quale vive non deve essere solamente frequentata, ma deve essere soprattutto partecipata e abitata. Il “tenere” a quello che quotidianamente facciamo e il renderci prossimi a quanti incontriamo rappresenta la testimonianza più forte che possiamo dare, al di là di mille discorsi, articoli, comunicati, ecc. Chi ci è vicino assorbe quanto di più costruttivo e generativo c’è in noi e si ricarica dell’energia positiva che sprigioniamo, se teniamo a quello che facciamo e se teniamo al bene di tutto ciò che ci circonda, uscendo dall’egoismo “post-pandemico”.
Questo è il più forte segnale di speranza che siamo chiamati a dare, il più visibile, il più diretto, quello capace di rispondere alla missione che papa Benedetto XVI affidò al nostro Movimento in occasione del quarantesimo della sua fondazione: “Bisogna coniugare idealità e concretezza”. Testimoni di una speranza che non è consolazione o vaga illusione, ma è prima di tutto forza, motore e contagio.
La speranza è una forza straordinaria, una luce brillante che può illuminare anche i giorni più bui, e le persone che attraversano un periodo buio. E sono i giovani che portano questa luce, che la coltivano e la diffondono nelle nostre vite e nelle nostre comunità. I giovani sono portatori di speranza. La loro energia, passione e determinazione sono catalizzatori del cambiamento. Sono coloro che non si accontentano dello status quo e che “sfidano le sfide” che affrontiamo come società: la pace, la guerra, l’economia e l’istruzione ne sono un esempio. Sono la prova vivente che il futuro può essere migliore, più giusto e più sostenibile non solo per qualcuno, ma per tutti. La speranza è un motore. È ciò che ci spinge a perseguire i nostri sogni, a lavorare per un mondo più equo e a superare le avversità. I giovani comprendono questo meglio di chiunque altro. Sanno che la speranza è ciò che ci permette di superare ostacoli e di costruire un futuro migliore. Ma soprattutto la speranza è contagio.
Quando vediamo giovani che si impegnano per il bene comune, ci ispirano a fare lo stesso. La loro passione e il loro impegno ci spingono a essere migliori, a fare di più e a credere che possiamo cambiare il mondo, anche nelle sue sfaccettature peggiori, ci dicono che quelle comunità che prima erano disabitate e senza un volto, ora sono di nuovo abitate da qualcuno che sa farsi prossimo, sa camminare con noi e sa darci uno stimolo per essere a nostra volta esempi buoni. C’è un intreccio che lega la speranza di cui siamo testimoni e la realizzazione dei presupposti della pace e questo è la partecipazione, vissuta e fatta conoscere agli altri come servizio.
Siamo una realtà associativa che investe sulla persona con i suoi valori, dove l’uomo e la donna sono al centro dell’attenzione in quanto persona, non in quanto cittadino, lavoratore o familiare, e questo fa la differenza. Se talvolta ci viene la tentazione di pensare che il nostro aggregarsi, da cristiani, in un’associazione abbia perso il suo significato iniziale, in ciò ritroviamo il senso di un Movimento che compie i cinquant’anni: ha senso perché quel giorno, grazie a una nostra attività, a un nostro sportello, a un nostro convegno, a un nostro seminario a Strasburgo, all’incontro con un nostro interlocutore, siamo stati in grado di rispondere al bisogno di un uomo o di una donna, siamo riusciti a far crescere qualcosa in qualcuno, siamo riusciti a dare un briciolo di speranza a chi magari un po’ ne aveva persa.
La speranza da sola non cambia il mondo e non genera pace. Ma se tra due concetti, due nobili aspirazioni, si mettono gli uomini di buona volontà, allora davvero essere portatori di speranza ed essere costruttori di pace diventano una cosa sola.