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Brescia
di CRISTIANO BETTEGA (AGENSIR) 02 ago 2016 00:00

Musulmani nelle chiese: pregare insieme cambia la vita

Molte diocesi italiane hanno accolto l’appello che i musulmani di Francia hanno lanciato ai loro fedeli: unirsi domenica 31 luglio ai cattolici nelle loro chiese come gesto di solidarietà dopo l’uccisione di padre Jacques Hamel a Saint-Étienne-du-Rouvray nella sua chiesa

È sicuramente un’esperienza un po’ strana vedere dei musulmani seduti tra i banchi di una chiesa cristiana. E soprattutto è un po’ inconsueto pensare che non sono là come turisti o come studiosi di architettura o di arte occidentale: no, sono là per pregare. Cioè per lo stesso motivo per cui i cristiani si radunano nello stesso luogo, ogni domenica.

La forza silenziosa, misteriosa, gigantesca, sconvolgente della preghiera, e di una preghiera fatta insieme, a più voci, secondo schemi e tradizioni diverse, ma con lo stesso obiettivo: chiedere pace. Dopo l’uccisione di padre Jacques, o forse è proprio il caso di dire dopo il suo martirio, martedì scorso, si sono alzate molte voci: di orrore e di sdegno, di rabbia, di condanna e di paura; e, purtroppo, anche voci di odio, voci che chiedono vendetta, repressione, guerra. Nei moltissimi casi simili di questi ultimi tempi, in cui uomini e donne di ogni appartenenza religiosa, di ogni convinzione e di ogni etnia sono stati vittime di un terrorismo folle o di precisi piani di annientamento, anche questa volta si sono alzati molti cori e da molte parti: fino all’esplicito disaccordo nei confronti di chi ostinatamente persegue vie di dialogo e di accoglienza, sia esso un Papa o un vescovo, un imam o un rabbino, un esponente di altre fedi o un uomo della strada, fedele o meno alla sua religione. Quasi come se si volesse dire: “Ecco, avete visto? Dialogare è perfettamente inutile!”.

Domenica 31 luglio, però, in molte chiese cristiane e non soltanto in Italia, insieme alle voci ostinate di chi indica proprio il dialogo come l’unica via della pace – l’unica, non una fra le tante! – si sono alzate anche centinaia e centinaia di mani in preghiera. Una voce silenziosa, ma di un silenzio assordante, verrebbe da dire: una voce che ha unito uomini e donne di fede, cultura, provenienze diverse, ma accomunati da un’unica convinzione: quella di chi sa benissimo che pregare insieme cambia la vita, eccome se la cambia!
Già, perché quando è fatta con il cuore, la preghiera non mette in comunicazione soltanto le persone tra loro, ma le mette in comunicazione con il Mistero assoluto, comunque lo si voglia chiamare. È una forma sublime di dialogo la preghiera, e di un dialogo portato avanti delle creature e dallo stesso Creatore. Certo, chi si aspetta risultati evidenti e immediati resterà a bocca asciutta: lo sa bene tutta quella parte di umanità – ed è realmente tanta – che in molti modi vive di dialogo, di incontro, di pazienza, di speranza, di relazioni fondate sulla conoscenza, sull’apertura, sull’incontro, sull’attesa. Nella convinzione che sì, va fatto di tutto per mettere al bando ogni forma di violenza cieca, ma assolutamente non con altra violenza altrettanto cieca. Questa non è la strada, non lo è mai stata. Ce lo insegna la storia, una storia molto spesso tragicamente sofferta, ma una storia che sicuramente non farà marcia indietro rispetto al cammino di convivenza tra i popoli e tra le religioni.

È per questo che la battaglia da portare avanti, se vuole essere vinta può pensare di usare esclusivamente le armi della civiltà, del dialogo, dell’incontro: le altre sono guerre perse in partenza, anche la guerra subdola di chi vorrebbe far tacere tutti coloro che parlano ostinatamente di pace, e di una pace costruita non con la forza ma con la riconciliazione. Musulmani e cristiani hanno pregato insieme per questo; ma siamo convinti che anche uomini e donne di altre fedi abbiano fatto altrettanto, e che lo facciano in continuazione, con quella convinzione che è la vera arma dei forti: la convinzione, appunto, che pregare insieme cambia la vita. Che si tratti soltanto di ingenuità, o di eccessivo ottimismo, o di buonismo sterile? No, siamo convinti che si tatti di altro: di fede, semplicemente di fede, di una fede nuda e inerme, ma efficacissima e potentissima.

Padre Jacques è stato ucciso mentre presiedeva l’Eucaristia. Centinaia di volte, nella sua vita da prete, ha ripetuto “Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il mio sangue versato per voi e per tutti”. Martedì 26 luglio quelle parole del Cristo sono diventate l’ultimo gesto della vita di quell’anziano prete. E come ogni vita data per gli altri nella fede e nella carità non rimane un gesto sterile, così anche quella di padre Jacques, come quella di tantissimi altri, cristiani e non, sta già portando frutto. Uno, splendido, commovente e sicuramente non privo di conseguenze positive, lo abbiamo visto domenica, in molte chiese cristiane.
CRISTIANO BETTEGA (AGENSIR) 02 ago 2016 00:00