Mafia: attenzione al rischio della normalizzazione
In occasione della Giornata nazionale della memoria delle vittime innocenti di mafia che si celebra questa mattina a Milano, "Voce" ha incontrato don Luigi Ciotti e Nando Dalla Chiesa
Si celebra questa mattina con una manifestazione a Milano la 28ª Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa dall’associazione “Libera” in collaborazione con “Avviso Pubblico”, a cui aderisce una vasta rete formata da enti locali, associazioni, scuole, sindacati, realtà sociali e cittadini. Brescia, su iniziativa della sezione locale di Libera, ha ospitato nei giorni scorsi don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione, che ha idealmente aperto un fitto programma di incontri, momenti di riflessione e spettacoli rivolti essenzialmente al mondo della scuola e dei giovani. In San Cristo, don Ciotti ha ricordato come la lotta alla mafia parta da quella conoscenza e da quella consapevolezza che spingono ciascuno a fare la propria parte. “Dobbiamo prendere coscienza che per combattere la mafia – ha affermato il fondatore dell’associazione “Libera” – è fondamentale conoscere. La conoscenza del fenomeno mafioso porta alla consapevolezza e alla presa di coscienza che ognuno in questa battaglia è chiamato a fare la propria parte”. Don Ciotti ha anche posto in evidenza come l’Italia sia esposta al rischio della normalizzazione. “Siccome la criminalità mafiosa uccide meno di un tempo – sono ancora considerazioni di don Ciotti – si è portati a credere che questa sia in fase di esaurimento. Occorre, invece, ribadire che è tutt’altro che morta. Mafia e corruzione sono ancora più forti di prima”. Dinanzi a questa situazione, ha ricordato ancora, tutti sono chiamati come cittadini e anche come credenti, ad assumersi la propria parte di responsabilità, “anche la Chiesa – sono state ancora le sue parole – annunciando della parola di Dio e ricordando a ogni cristiano che viverla chiede anche di accogliere Dio”. Ma come e in che modo questa accoglienza contrasta la mafia? “Stando vicino ai più deboli, agli ultimi, agli emarginati – è stata la risposta di don Ciotti – che molto spesso sono proprio le persone che hanno il coraggio di ribellarsi alla mafia e che chiedono una mano per continuare a dire il loro no alle logiche mafiose”. Il sacerdote ha anche ribadito che la comunità cristiana in questa sfida alla mafia non può solo limitarsi a fare affidamento sullo Stato, ma deve assumersi la sua parte di responsabilità, non limitandosi a essere cristiana “a intermittenza, a seconda dei momenti e delle emozioni, ma deve farlo nella continuità”, guardando sì al cielo, ma non dimenticando i doveri che ha “verso la terra, nella lotta contro il male, contro le forme di violenza, contro la corruzione, contro la mafia. Un cristiano – ha concluso – di fronte al male non può restare inerte, ma deve darsi da fare”. Si tratta di riflessioni condivise anche da Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di “Libera” da sempre impegnato nella lotta alla mafia e nello spiegare alle giovani generazioni questo dovere civile.
“La mafia, nonostante le trasformazioni e gli adattamenti che ha conosciuto nel tempo - ha affermato in un’intervista concessa a “Voce” - continua a essere una forma di esercizio del potere fondata sull’arbitrio, sul sopruso e sulla contrapposizione alla legge. Come la si combatte? In primo luogo, con l’attività di indagine e con la repressione. Importanti sono anche l’educazione anche si fa nelle scuole, la partecipazione civile e l’utilizzo di un linguaggio nitido che sappia definire in modo preciso le cose. C’è bisogno anche di una Chiesa che affianchi le istituzioni in questa battaglia e di una cultura che sappia valorizzare quel patrimonio che nasce dalle battaglie contro la mafia”.
Nando Dalla Chiesa si è anche soffermato sul valore della Giornata nazionale che viene celebrata oggi a Milano, un appuntamento riconosciuto anche dallo Stato con una legge del 2017, che “aiuta a comprendere che essenziale nella lotta alla mafia è anche la memoria, che – ha ricordato il figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa assassinato dalla mafia a Palermo nel 1982 - va sottratta all’uso intimidatorio che della stessa fanno le organizzazioni. Dobbiamo, invece, trasmettere la memoria di queste persone perché ci aiutino, facciano da pungolo a ribellarci al potere mafioso e a costruire altri tipi di società. Fare memoria di queste vittime è già un atto di ribellione in sé perché le sottrae all’oblio e le rende attuali e rivoluzionarie anche dopo 20, 30, 40 anni dalla loro uccisione. La memoria di chi ha pagato in prima persona questa battaglia, indica la strada per andare verso la speranza”.
È solo la società civile, con associazioni e movimenti, a guidare questo cammino di speranza? “No, ora non più – ha continuato - . Il lavoro di denuncia e di ribellione svolto dalla società civile è arrivato anche nelle stanze delle istituzioni che oggi sono convintamente in campo contro la mafia. È definitivamente finito il tempo in cui sembrava prevalere la logica del quieto vivere e il merito di questo va ancora alle tante vittime innocenti. Le loro storie, anche se sempre più lontane nel tempo, contano ancora anche grazie alla vocazione al racconto che caratterizza il movimento antimafia. E questo è un fatto insolito in una società come quella attuale che sembra non raccontarsi, che non cerca di capire dove può avere sbagliato”.