Mafia a Brescia dai kalashnikov agli F24
Con il seminario “La criminalità organizzata in provincia di Brescia: strategie di contrasto” tenuto ieri in Prefettura lo "stato dell'arte" delle nuove modalità di azione di cosche e organizzazioni sul territorio
La criminalità mafiosa al Nord e in particolare a Brescia è un fatto assodato. L’imponente operazione di Polizia giudiziaria avvenuta dello scorso settembre ne è prova lampante e ha consentito di scoprire nuove forme di infiltrazione della criminalità organizzata, pur nell’ambito di un forte tessuto economico quale quello bresciano, Ma la mafia è cambiata, non è più violenta. Si è raffinata e ha finito per sostituire le armi con gli F24. Il reato fiscale consente di guadagnare di più e di rischiare di meno. E non si parla più di infiltrazione, ma di radicamento, siamo alla seconda e terza generazione.
Sono alcune delle considerazioni emerse nel corso del seminario “La criminalità organizzata in Provincia di Brescia: strategie di contrasto” organizzato ieri in Prefettura e che ha visto la partecipazione di Paolo Savio,– Sostituto Procuratore di Brescia; di Antonio Basilicata, Capo del I Reparto Investigazioni Direzione Investigativa Antimafia di Roma; di Francesco Rattà, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria; di Rino Coppola, Comandante del III Reparto Analisi Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri di Roma, e di Alessandro Barbera, Comandante del Servizio centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza di Roma.
È stato Paolo Savio, con la relazione “L’evoluzione del fenomeno mafioso nel distretto di Brescia”, a mettere in risalto la situazione locale e quanto si sta già facendo per combattere la criminalità mafiosa, ma ha anche delineato lo scenario in cui probabilmente ci troveremo fra 10 anni. “Ci rendiamo conto di una evoluzione devastante e se ci fermiamo un secondo rischiamo di perdere completamente il contatto con la realtà criminale”. Savio si occupa di criminalità mafiosa più o meno da sempre. “Tra Catania e Brescia ho visto una profonda differenza. In Sicilia avevamo strutture verticali, con una territorialità marcata e un approccio paramilitare. A Brescia parliamo di associazioni orizzontali”.
I concetti da considerare sono: delocalizzazione, esportazione e infiltrazione. “Il Kalashnikov è sostituito dall’F24. Al consulente balistico militare subentra un commercialista. Ai summit di mafia registriamo le riunioni da un notaio. Il pizzo lascia il posto al bilancio di esercizio”. Perché a Brescia? “Perché ci sono i soldi, è attrattiva per le strutture criminali mafiose che possono reinvestire, reimmettere e far circolare”. Dove andiamo? “Ho la sensazione che la parte di reato predatorio resista, ma sia in fase recessoria. La parte fiscale, come l’indebita compensazione, è un dato conosciuto. I nuovi settori che preoccupano riguardano il turismo e l’alberghiero, il food e la grande distribuzione e l’edilizia che permette di fidelizzare la famiglia”. Di cosa abbiamo bisogno? “Di buona politica, perché a volte manca la costituzione di parte civile da parte delle amministrazioni che serve da sostegno al lavoro dei magistrati. Di aumentare la collaborazione tra uffici giudiziari e la collaborazione internazionale. Di uomini capaci che facciano scrupolose indagini patrimoniali per trovare riscontri e sappiamo bene che le indagini patrimoniali e finanziarie sono molto difficili, richiedono risorse e soprattutto tempo”. Anche lo Stato deve fare la sua parte. “Fare antimafia al Nord richiede impegno e un grande sforzo, lo Stato e i comandi generali devono capire fino in fondo se questo sforzo lo vogliono sostenere”.