Luisa e quella vita per gli ultimi
La missionaria laica, volontaria in diverse realtà diocesane, per 30 anni si è prodigata per le giovani venezuelane dei “Barrios”
Nelle scorse settimane ha lasciato questo mondo Luisa Cimaschi. Nel rito funebre tenutosi nella sua parrocchia cittadina dei Santi Nazaro e Celso, il parroco, mons. Giambattista Francesconi, ha esordito dicendo che Luisa si può annoverare, secondo l’insegnamento del Papa e del nostro Vescovo, tra i “santi della porta accanto”. Sì, perché la vita di questa semplice donna laica, è stata interamente donata per la causa del Regno di Dio.
La storia. Luisa nasce e cresce a Brescia in una famiglia agiata, di dichiarata fede cattolica, terza di otto fratelli. Fin da piccola frequenta la parrocchia, l’oratorio femminile delle Suore delle Poverelle e, fatta adolescente, aderisce alla Gioventù femminile dell’Azione Cattolica, divenendo Delegata delle Sezioni minori presso il Centro diocesano di via Tosio. Frequenta la Scuola Magistrale delle Madri Canossiane e, conseguito il diploma, all’età di vent’anni, svolge la professione di Educatrice in diverse Scuole Materne (a Brescia, a Monte Maderno e a Cremona). Animata dalla passione educativa e dall’ardore missionario maturato secondo il trinomio della Gioventù femminile “Eucarestia, apostolato, eroismo”, nella stagione del post-Concilio Vaticano II, nel 1968 risponde alle sollecitazioni della Chiesa che chiama i laici ad un impegno missionario e, in particolare all’appello dei Vescovi, per la nuova evangelizzazione dell’America Latina. Dopo un corso preparatorio al Ceial di Verona, affronta, da sola, il viaggio di 15 giorni, via nave, per raggiungere il Venezuela. Qui, dopo brevi esperienze a Tinaco, a Siquisique (dove già svolge il suo ministero don Renzo Begni, “fidei donum” bresciano) con l’approvazione e l’appoggio del Vescovo di Barquisimeto, apre una casa che chiamerà con l’appellativo evangelico “Hogar talita cum”, “Fanciulla dico a te: alzati!” per dare accoglienza e formazione a bambine orfane o figlie di famiglie numerose e povere dei “Barrios” che circondano la città. Per circa 30 anni svolge la sua missione come madre, educatrice, maestra, catechista, impresaria e autista per provvedere a tutte le necessità della casa col solo aiuto di qualche benefattore locale o italiano e con l’impiego delle sue risorse personali. Trova presto la collaborazione di una giovane venezuelana, Ercilia, che, attratta dalla sua testimonianza cristiana, prenderà il suo posto alla conduzione dell’opera, quando Luisa, per ragioni di età e di salute, farà ritorno in Italia. La sua dedizione e il suo impegno missionario sono stati pubblicamente riconosciuti dalla Chiesa Venezuelana e dal Premio “Cuore amico” della Diocesi di Brescia. Rientrata a Brescia si ritrova in casa da sola (i Genitori sono defunti e i fratelli e le sorelle sposati) ma, sempre aperta alle istanze della Chiesa e della società, opera come volontaria all’Ufficio Missionario, alla “Mensa Menni” per i poveri, al carcere Canton Mombello come catechista dei reclusi. Il Cappellano del carcere, al termine del rito funebre, l’ha ricordata come una persona generosa, umile e discreta. Gli ultimi anni della sua vita sono segnati da sofferenze morali e fisiche che la rendono partecipe della Passione di Cristo, scelto, amato e servito nei fratelli più poveri, come unico Signore della sua vita.