Lombardo: quattro mesi in prima linea
Intervista al nuovo direttore degli Spedali Civili, a Brescia dopo avere guidato l'asst di Lodi, la prima chiamata a confrontarsi in Italia con la comparsa del coronavirus
Dalla diagnosi del primo caso di Covid nel Bresciano sono passati 4 mesi. Era il 24 febbraio quando venne diffusa la notizia del ricovero nel reparto infettivi degli Spedali Civili di 51enne di Pontevico che, probabilmente, aveva contratto il contagio a Codogno, là dove tutto “era cominciato”! Da allora è stata un’escalation vorticosa, con il numero dei contagiati e delle vittime che cresceva a livelli impressionanti (a oggi quasi 15.400 positivi e più di 2.700 i morti), con il virus che, nonostante l’impegno di tutte le figure della filiera sanitaria sembrava fuori controllo, nonostante le sempre più stringenti misure di contenimento sociale adottate da governo e Regione. Poi, piano piano, il rallentamento sino al ritorno in queste ultime ore ai numeri dei primissimi giorni della comparsa del coronavirus nel Bresciano. Però non è ancora tempo di abbassare del tutto la guardia perché il virus, anche se depotenziato, continua a essere in circolo. “In prima linea” sin da subito nella al Covid-19 è Massimo Lombardo, dal 18 giugno scorso alla direzione generale dell’Asst Spedali Civili di Brescia, in sostituzione di Marco Trivelli a cui è stata affidata la direzione del Welfare di Regione Lombardia. Il nuovo direttore generale arriva dall’Asst di Lodi, la prima ad affrontare il 20 febbraio il coronavirus in Italia. Per il nuovo dg del Civile quelli trascorsi sono stati 120 giorni particolari, come conferma in questa intervista.
Dott. Lombardo che mesi sono stati per lei quelli dal primo paziente di Codogno a oggi?
Ancora non riesco a trovare le parole adatte per descrivere ciò che abbiamo vissuto. Questi mesi hanno rappresentato sicuramente un’esperienza drammatica, ma anche di grande impegno sia dal punto di vista professionale che umano. A Lodi ho avuto modo di lavorare con una comunità di professionisti animata da grande solidarietà,da una straordinaria capacità di fare rete di solidarietà dentro e fuori gli ospedali. Sono state queste le armi che ci hanno permesso di reggere l’impatto con una realtà all’inizio sconosciuta e che sembrava ben al di là delle nostre capacità di risposta e di reazione. Sono stati quattro mesi che hanno cambiato molto l’organizzazione ospedaliera e tutte le professionalità che al suo interno si sono battute, senza risparmiarsi nella lotta al Covid.
L’esperienza di questi quattro mesi inciderà nel lavoro che è chiamato ad affrontare ora che è alla guida dell’Asst Spedali Civili?
Non è una frase fatta quando affermo che le nostre organizzazioni dopo questa esperienza non potranno più essere come prima. La lotta al Covid ha fatto comprendere l’importanza delle relazioni tra i diversi soggetti della filiera sanitaria, a partire dai medici di medicina generale per arrivare a tutti gli altri soggetti che si occupano di sanità e di socio-sanitario. Dovremo trovare modalità di collaborazione nell’interesse dei cittadini e dei malati. Ci sono, poi, alcuni valori importanti che questa esperienza Covid ha fatto venire a galla e che dovranno essere di riferimento per la nostra presenza e la nostra azione.
Sono già maturi i tempi per una verifica di quello che, sul versante ospedaliero e più in generale su quello sanitario, ha funzionato e, invece, di quanto è emerso come criticità?
Anche se i tempi sono ancora un po’ prematuri per un’analisi di questo genere, qualche punto fermo c’è già, a partire dalla sostanziale tenuta del sistema sanitario regionale nonostante l’impatto tutt’alto che leggero, capace di fare argine al virus nonostante la totale assenza di protocolli. Certo, le criticità non sono mancate, ma nel suo insieme il sistema ha risposto egregiamente, ma quello che abbiamo vissuto deve aiutarci a rileggere con obiettività quali parti del sistema debbano essere aggiustate e migliorate.
Tra queste c’è anche un ripensamento del rapporto tra ospedale e medicina del territorio?
Assolutamente sì. In questi mesi abbiamo capito che la collaborazione fra diversi soggetti, di cui tanto si è discusso in passato senza però avere un banco di prova che convalidasse l’importanza di questo rapporto, è essenziale e non più rinviabile.
Fra le strategie di contrasto futuro al coronavirus c’è anche l’ipotesi di una struttura permanente al Civile. Qual è il suo parere?
A oggi non ho ancora avuto modo di valutare il progetto e, dunque, non ho i basilari elementi di conoscenza per esprimere un parere compiuto sulla questione.
Brescia ha saputo reggere alla pandemia grazie anche alla collaborazione tra strutture ospedaliere pubbliche e private. Un’esperienza da continuare?
A Lodi nei giorni di massima difficoltà ho avuto aiuto dai grandi ospedali milanesi sia pubblici che privati. Quell’esperienza, che immagino sia la stessa vissuta anche a Brescia, mi ha confermato che ci sono dei valori che fanno riferimento alla solidarietà, alla condivisione che sono dei capisaldi in tutte le strutture ospedaliere capaci, nel rispetto delle rispettive autonomie e caratteristiche, di risposte comuni in caso di bisogno.
L'intervista al nuovo direttore dall'Asst Spedali Civili fa parte di un approndimento che "La Voce del Popolo" del 25 giugno dedica ai 120 gironi della oandemuìia a Brescia.