Lockdown nuovo e violenze vecchie
“Nelle settimane del lockdown siano rimasti chiusi per evitare di esporre le nostre ospiti al rischio del contagio, ma con il mese di maggio il turn over nella nostra struttura è ripreso con il ritmi di sempre”. È con queste parole che Silvia De Marinis, responsabile del rifugio Caritas Casa Betel, conferma che il tempo della convivenza forzata in famiglia per via del Covid-19 ha inciso negativamente sulla violenza nei confronti delle donne. “Non tutte le donna che arrivano da noi – racconta – poi accettano la protezione; alcune preferiscono fare ritorno in famiglia, a casa perché non riescono a comprendere le ragioni per cui, a fronte di una violenza subita tocchi a loro, con l’ospitalità nelle case rifugio, dover subire una sorta di reclusione”. Anche a Casa Betel il lavoro da fare sulle donne perché arrivino a comprendere che la violenza è qualcosa di malsano, è lungo. “Molto spesso – continua – le donne tendono a considerare la violenza come la manifestazione di una forma di amore, anche se malato. Molto spesso le donne credono al pentimento del marito o del convivente, molto spesso sono convinte che l’uomo violento sia un malato, la cui cura prevede anche l’accettazione di maltrattamenti”. Per queste donne Casa Betel, in rete con altre realtà pensa a progetti particolari per aiutarle a superare vincoli culturali e sociali che fanno accettare loro la violenza come qualcosa di normale.