La vita è come un libro
La decima edizione del Mese Letterario promosso dalla Fondazione San Benedetto ha preso il via giovedì scorso all'auditorium Balestrieri. “Qui c’è da camminare nel buio della parola. Storie, letture e riflessioni sull’esperienza della letteratura” , il tema della serata affrontato da Stas’ Gawronski
Appuntamento fisso della primavera culturale bresciana, il Mese Letterario promosso dalla Fondazione San Benedetto è giunto alla decima edizione. Dieci anni con la letteratura, in compagnia di oltre 30 autori, spaziando dai classici ai contemporanei, ma sempre alla ricerca di uno sguardo intriso di stupore, come ha sottolineato Laura Ferrari, introducendo l’ospite della rassegna. L’apertura dell’edizione 2019, avvenuta giovedì scorso all’auditorium Balestrieri, è stata affidata a Stas’ Gawronski, autore e conduttore di trasmissioni televisive culturali presso la RAI, nonché direttore scientifico della “Scuola di lettura e di scrittura” inaugurata lo scorso anno dalla realtà di Borgo Whurer. Da Italo Calvino a Emily Dickinson, da G.K. Chesterton a Goffredo Parise, da Eugenio Montale a Elena Bono passando da Flannery O’Connor, il florilegio letterario proposto dal volto noto di Rai5 ha sondato gli abissi dell’animo umano. “Qui c’è da camminare nel buio della parola. Storie, letture e riflessioni sull’esperienza della letteratura” è stato il tema che ha caratterizzato la serata. “La vita è come un libro – ha sottolineato Gawronski – aperte le pagine della propria esistenza l’interrogativo è sempre il medesimo: come andrà a finire? Qual è il senso?”.
E’ dai silenzi del signor Palomar di Calvino, dal suo sguardo verso la volta celeste che si è tentato di dare una prima risposta. E la letteratura ci viene incontro: “Abbiamo bisogno di qualcosa d’altro che ci aiuti ad avere uno sguardo differente – sono ancor parole di Gawronski –. Quello di Calvino è un uomo di fronte a un tempo continuo ed immutabile, in attesa di trovare un responso ai sui dubbi sul senso della vita. Ed è guardando nel buio, nell’abisso che bisogna guardare. Bisogna camminare nel buio della parola come diceva Cappello, nel buio della volta del cielo, per dirla con Calvino. Non è solamente il moto rivoluzionario delle stelle che dobbiamo guardare. C’è un altrove interiore che devo sondare e cambiare. La letteratura è il connettore fra il mondo e una dimensione interiore altrettanto vasta”.
Di fronte all’apparente non senso dell’esistenza sono due gli atteggiamenti che si possono assumere. Ne è convinto Gawronski che per questo ha mobilitato due mostri sacri della letteratura. Scriveva Emily Dickinson: “Dietro di Me – sprofonda l’Eternità. Davanti a Me – l’immortalità. Io– il confine fra le due. E’ miracolo davanti a me – allora. E miracolo dietro – in mezzo. Io abito la possibilità”. Nonostante abbia passato gran parte della propria esistenza nella propria stanza, la poetessa americana ha saputo guardare oltre le mura che la circondavano, “la condizione fondamentale per sapere cogliere la vita. L’unica condizione per poter essere raggiunti da una novità. In fondo abbiamo paura delle novità. Abitiamo le possibilità delle cose che conosciamo in fondo Emily Dickinson, guardando l’immortalità, ha creato quella connessione che Palomar tentava di trovare fra il mondo esterno e il proprio io. La letteratura è una questione di sguardo. E’ come un collirio”.
L’atteggiamento della poetessa di fronte alla realtà è simile al quello di Gabriel Gale, il protagonista de “Il Poeta e i Pazzi” di Chesterton, un investigatore della mente umana che risolve i misteri lottando contro la ragione. E’ un artista, e in lui la razionalità lascia spesso il posto all'immaginazione. Come un funambolo cammina sulla corda tesa sopra l'abisso che separa sanità mentale e follia: "Siamo delle mosche che strisciano su un soffitto, ed è soltanto per un'incessante azione della misericordia divina che non precipitiamo". Questa infantile ed umana umiltà attraverso lo sguardo capovolto coglie l'essere delle cose. Del resto, ha sottolineato Gawronski, “Flannery O’Connor sosteneva la necessità, per gli scrittori, di essere un po’ ingenui e imbambolati come possono esserlo solo i bambini di fronte allo stupore delle cose nuove. Se un libro vale, allora mi colpisce come se fosse una sberla, cistringedoti a piegare il capo guardando il mondo da un’altra prospettiva. Il viaggio fa così un grosso passo avanti verso la risposta al come tutto vada a finire. Insistere sullo sguardo non è affatto scontato. Se leggiamo, alla fine, è perché vogliamo vederci chiaro”.
Se Emily Dickinson riesce a scorgere il senso dell’esistenza nel miracolo della vita, Eugenio Montale, pur parlando di “Miracolo”, non trova la medesima prospettiva: “Forse un mattino - scrive - andando in un’aria di vetro arida, vedrò compiersi il miracolo, il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me”. E’ come se dicesse che anche le cose più straordinarie sono un inganno. La “sfida” tra Montale e Dickinson obbliga il lettore a una scelta, del resto “la letteratura è un intensificatore della realtà che ne fa percepire il mistero”. Un mistero tanto grande quanto la forza della vita e di un incontro fortuito. Quello fra Raymond Carver, ormai nel baratro dell’alcolismo, e Tess Gallagher. Lui è uno scrittore con alle spalle una storia drammatica. Lei è una poetessa. L’inizio di una relazione fra i due spinge lo scrittore a smettere di bere. Rimarrà sobrio per 10 anni, dieci anni di felicità, sino a quando non gli verrà diagnosticato un tumore al cervello. Eppure la malattia, una condanna a morte, non farà venir meno il sorriso sulle sue labbra. La gioia provata nei 10 anni passati non poteva essere cancellata. “La letteratura di Carver – ha sottolineato Gawronski – ha cambiato la vita a tante persone”. Ed proprio con la lettura della poesia che l’autore volle incisa sulla sua lapide che si è conclusa la serata: “E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Sì. E cos’è che volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra”.