Essere scuola ai tempi del Covid
La testimonianza di Paola Mostarda, preside della secondaria di I grado della scuola Audiofonetica
Spesso la scuola è stata oggetto di critiche, gli stessi insegnanti hanno perso nel tempo un po' di autorevolezza. Questo è perlomeno quello che emerge nelle interviste.
Ma durante la pandemia la scuola si sta riscattando e in molti casi sta supplendo alle tante mancanze dell'autorità (politica e sanitaria) statale.
La testimonianza di Paola Mostarda, preside della secondaria di I grado della Scuola Audiofonetica e referente Covid, va proprio in questa direzione.
"Da due anni - spiega Paola Mostarda - stiamo mettendo tutto il nostro impegno per fare scuola al meglio per i nostri ragazzi. E' il nostro ruolo, forse anche piccolo rispetto a quello che stanno compiendo gli ospedali per i loro pazienti, al cuore di chi accompagna i malati nei momenti più drammatici, alle energie della ricerca, alla dedizione di volontari e amministratori, all'impegno di lavoratori e imprenditori per salvare il lavoro. Ognuno nel proprio ambito fa del suo meglio".
Ma perchè la scuola, tanto vituperata, deve fare altro rispetto all'educazione e alla formazione dei ragazzi che le sono stati affidati?
"Perché la scuola deve controllare se i tamponi degli alunni sono corretti? Perché - continua Mostarda - deve fare il contact tracing? Perché deve essere lei ad avvisare le famiglie quando c'è un positivo e deve dare lei indicazioni sanitarie? Perché deve informare su dove fare i tamponi, quali fare e quando farli o non farli? Perché deve districarsi a interpretare le circolari del ministero della salute? Perché alla scuola vengono dati servizi di supporto che non supportano e neanche rispondo al telefono? Perché deve riorganizzare tempi e spazi ma deve farlo con vincoli stringenti dettati da chi nella scuola non ha mai messo piede? Perché deve ricevere le lamentele (quando va bene...) di genitori che non si raccapezzano più tra le informazioni del telegiornale e quelle - diverse - che la scuola deve far rispettare? Per non parlare dei trasporti (che non sono della scuola) o di mille altre cose che vengono chieste alla scuola. Quali competenze ha la scuola per fare tutto questo? Quante persone deve distaccare dalle funzioni educative o amministrative per fare tutto questo?".
La posta in gioco è troppo grande per fare finta di niente. Servono delle risposte. Non basta chiedere alle scuole di restare aperte per non mettere in difficoltà famiglie e imprese, salvo poi abbandonarle a se stesse.
"La scuola deve fare scuola. Può, anzi, deve collaborare con la comunità civile, ma non può sostituirsi ai tecnici, a chi è formato per fare tutto questo. Deve collaborare con le istituzioni dello stato ma non può sostituirsi ad esse. E' troppo comodo - conclude Mostarda - delegare tutto questo alla scuola. La scuola faccia la scuola. C'è in gioco il bene dei nostri figli". Difficile darle torto.