L'11 settembre e la logica della vendetta
In occasione dal 20° anniversario degli attacchi alle Torri Gemelle di New York, le riflessioni di don Fabio Corazzina sul percorso che il mondo ha compiuto in questi due decenni
Il mondo sta celebrando l’anniversario, il 20°, degli attacchi alle Torri Gemelle di New York. Già qualcuno annuncia celebrazioni all’insegna dei “Vent’anni che hanno cambiato il mondo”, ricordando un arco temporale che si è aperto appunto con gli occhi di tutto la Terra puntati su televisori e computer che trasmettevano le immagini dei palazzi simbolo della Grande Mela in preda alle fiamme e le facce stravolte e terrorizzate dei newyorkesi e che si è chiuso (almeno temporalmente) con le immagini altrettanto drammatiche della partenza, più simile a una fuga, delle truppe della coalizione internazionale da Kabul delle scorse settimane. Anche dalla capitale afghana sono arrivate immagini di disperazione e di morte. A don Fabio Corazzina, osservatore attento e critico dei processi che il mondo ha conosciuti in questi anni, “Voce” ha chiesto un aiuto per leggere i cambiamenti provocati dall’11 settembre.
Che mondo si è sviluppato in questi 20 anni?
L’11 settembre ha svelato al mondo occidentale, rassicurato da 60 anni di pace, cosa fossero la violenza e la guerra, che per altri parti del mondo erano il pane quotidiano. Con gli attacchi dei kamikaze il mondo occidentale ha avuto la rivelazione di cosa significhi la violenza e come questa potesse essere utilizzata per affrontare temi, rivendicare diritti e difendere la propria identità. Ma l’occidente non era pronto a tutto questo, tanto che la sua reazione è stata scomposta e ha deciso che la logica doveva essere quella del “fargliela pagare”, utilizzando gli stessi strumenti. Da questo punto di vista vent’anni sembrano essere trascorsi invano, perché la lezione non è stata appresa, come dimostrano le reazioni statunitensi agli attacchi all’aeroporto di Kabul dei giorni scorsi. Quel “Non dimenticheremo, non perdoneremo, vi scoveremo” pronunciati da Biden non sono altro che la ripetizione delle affermazioni di George W. Bush J all’indomani dell’11 settembre.
Che cosa significa tutto questo?
Purtroppo che tutto ciò che abbiamo vissuto 20 anni fa e che ritenevamo lontano dalla nostra cultura in tema di violenza dentro il nostro quotidiano, di violenza inaspettata, di violenza come sistema e metodo di risoluzione dei problemi, l’abbiamo fatto diventare sistema, l’abbiano adottato anche in completo contrasto con quelle radici cristiane a cui l’Occidente spesso si richiama e che chiedono di rispondere al male con il bene. Abbiamo invece risposto al male con il male. Anzi, in questa logica siamo andati oltre la legge del taglione. Agli attacchi alle Torri Gemelle che avevano provocato 3.000 morti l’Occidente ha risposto con le azioni in Afghanistan e in Iraq costate la vita, in questi 20 anni a decine e decine di migliaia di persone. Dal 2001 a oggi l’Occidente non ha ancora imparato la legge evangelica che chiede, appunto, di rispondere al male con il bene, rifuggendo dalla logica della vendetta.
Cosa consegnano alla generazione cresciuta dopo l’11 settembre questi due decenni?
Sicuramente l’immagine di un mondo che vive in situazione di crisi perenne. I giovani nati nel 2001 forse non hanno l’esatta percezione di cosa sia stato l’11 settembre, ma sanno bene cosa è stata e cosa ha prodotto la crisi finanziaria del 2008, di quali conseguenze abbia portato con se la pandemia che ancora ci stringe d’assedio. Nel giro di 20 anni sono stati chiamati a confrontarsi con tre crisi che pongono diverse questioni. La tragedia dell’11 settembre 2001 deve insegnare loro che strumento della non violenza e è qualcosa di più serio dell’immaginario romantico del “mettere fiori nei vostri cannoni”, è un insieme di studi, strategie e processi, che devono conoscere, approfondire, fare loro se davvero credono che un mondo migliore sia possibile. La crisi economica del 2008 deve dire loro che la scelta per un’economia che sia giusta, di comunione e non, invece, iniqua e a servizio di una finanza che non sia unicamente al soldo del profitto è possibile. La crisi sanitaria ha rilanciato il tema della cura e della custodia. Custodire il creato, prendersi cura del mondo in cui siamo, degli altri. Un grande aiuto arriva loro dal magistero di papa Francesco con tre documenti fondamentali. Alla logica della guerra il Papa risponde con la “Fratelli tutti”, a quella di un ambiente sempre più depauperato lo fa con la “Laudato sì’”. C’è un magistero della Chesa che potrebbe tornare di grande utilità ma che le comunità, forse, stanno snobbando. Se non consegniamo questo ai giovani cos’altro possiamo dare loro? Forse la logica che le ragioni valgono non in virtù dei loro contenuti ma in quella del numero delle persone che riesco a raggiugere, la logica dell’ho ragione io e gli altri sbagliano sempre che è il limite più grave di oggi?.
Cosa può diventare l’anniversario che il mondo si appresta a celebrare?
L’anniversario deve diventare occasione per il mondo occidentale per lavorare sia proprio sotto questo l’aspetto se vuole contribuire alla creazione di un mondo migliore rispetto a quello in cui abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni. La guerra è come un seme: quando lo lanci attecchisce e i suoi frutti sono come la gramigna. Sono infestanti e difficili da estirpare. La logica della guerra ha infestato l’anima dell’Occidente e continua a fare del male. La prova? Il fatto che l’Occidente dia un’immagine di se come quella di una civiltà assediata che pensa di reagire costruendo muri e armandosi.
Questi 20 anni hanno inciso anche sulla cultura pacifista?
Anche questa non ha vissuto anni facili. Quello della pace ha finito per non essere più un tema in cui coinvolgere il mondo giovanile, come era avvenuto negli anni della guerra nella ex Jugoslavia. Il tema della pace e del disarmo non è centrale e non lo è non solo nel mondo giovanile, ma anche in quello dell’associazionismo, dei movimenti e della politica. Certo, si fa ancora qualcosa per la pace, ma non è più la scommessa della pace. La scelta della pace, del disarmo e della non violenza è diventata marginale. E questo è un grosso limite, un tema serio per le comunità cristiane, per le associazioni, per i movimenti, per le istituzioni. D’altra parte gli strumenti che il mondo si era dato per affrontare anche le questioni più spinose con il dialogo e il confronto e non in una logica di violenza, hanno dimostrato tutta la loro inefficacia. Onu in testa, sono stati banalizzati e resi inutili, tanto che oggi non esiste più uno strumento politico, istituzionale della pace, con buona pace di tutti, comprese le nostre comunità che hanno finito per considerare questi temi divisivi, dimenticando che invece sono temi generativi importanti, identitari e opportunità di dialogo con il mondo
C’è una straordinaria coincidenza che segna l’inizio e la fine del ventennio che parte con l’attacco alle Torri gemelle e finisce con la fuga dall’Afghanistan: la caduta nel vuoto dei corpi dalle torri in fiamme e dagli aerei in decollo dall’aeroporto di Kabul…
Sì, si tratta di immagini tragiche, davanti alle quali, però, dovremmo porci alcune domande per capire, invece, cosa ne è di chi non si è gettato nel vuoto, di chi è rimasto a New York dopo le torri gemelle, in Afghanistan oggi, ma anche in Libia, in Siria, nel Corno d’Africa, nel Tigrai, nel Sud Sudan, nella ex Jugoslavia, in tutte quelle parti del mondo in cui la logica della vendetta, della violenza e della guerra ha avuto la meglio. Sono tutte azioni che hanno provocato grandi cadute collettive, non meno drammatiche di quelle documentate nelle foto di questi giorni. Il vero interrogativo che quelle immagini devono suscitare è come fare fronte concretamente alla caduta dei diritti, della dimensione sociale, della democrazia, delle persone, della loro dignità, dello sfruttamento possano essere evitate, salvando la vita di tantissime persone. È su queste cadute che noi possiamo fare ancora tanto. Su quelle immortalate dalle foto si faranno convegni, su quelle su cui possiamo intervenire possiamo fare delle scelte di parte. E questo sarebbe il modo migliore di ricordare il ventennale dell’11 settembre.
Oggi è la giornata dell'anniversario...
Il mio timore è che l’anniversario dell’11 settembre è che finisca con l’essere una semplice commemorazione di una tragedia e non un’occasione ripensare ai modelli con cui l’Occidente pensava di porsi davanti a un mondo nuovo. Non bisogna dimenticare che il 2001 è stato anche l’anno del G8 di Genova, che è molto di più della storia di violenze con cui oggi è ricordato. E’ stato il tentativo di larga parte della società civile di indicare risposte nuove ai problemi del mondo, che poi drammaticamente sono venuti alla luce, risposte che non fossero solo quella della violenza e della vendetta che si è materializzata solo pochi mesi dopo con gli attacchi a New York e la reazione che ne è seguita. L’anniversario ormai prossimo dovrebbe rappresentare finalmente l’opportunità di avviare un a riflessione su nuovi modelli di risposta.