Il sogno di Arturo Brachetti, re dei trasformisti
Il Gran Teatro Morato di via San Zeno a Brescia passa da un sold out all’altro. Dopo il tutto esaurito fatto registrare dal concerto dei Nomadi e quelli annunciati per gli spettacoli di Luca Ravenna (14 aprile), per il musical “The Blues Brothers” (17) e per il concerto “Pfm canta De Andrè”, anche quello per “Solo” che vedrà il ritorno a Brescia di Arturo Brachetti, con lo spettacolo “Solo”, pare ormai scontato. Le prospettive di un teatro ancora una volta pieno in ogni ordine di posti, fa crescere nel “re dei trasformisti” l’attesa per il ritorno a Brescia, come conferma lo stesso Brachetti in questa intervista.
Torna a Brescia con “Solo”, spettacolo “surrealista e funambolico”. A cosa assisterà il pubblico del Gran Teatro Morato?
Torno per la terza volta nel giro di pochi anni a Brescia con uno spettacolo fortunato con cui sto girando l’Italia e l’Europa (a giugno sarà per 2 settimane a Barcellona e subito dopo andrà a Edimburgo per l’intero mese di agosto, ndr) ormai dal 2017. “Solo” è uno spettacolo che è molto di più 65 personaggi che porto in scena (e che hanno consolidato la sua fama di “master of quick change”, ndr), è anche uno spettacolo di sogno in cui le sorprese di susseguono a un ritmo vertiginoso. Accanto alle trasformazioni ci sono le ombre cinesi, c’è il disegno sulla sabbia, ci sono le luci laser. ‘Solo’ è in sostanza una grande fiera delle meraviglie. Per 90 minuti il pubblico è come se fosse su un ottovolante delle sorprese. C’è, però, anche qualcosa di più profondo: c’è una storia toccante, poetica che è il parco giochi di un quindicenne imprigionato in un corpo di un sessantasettenne, di un eterno Peter Pan, come il mio. Lo spettacolo, poi, mi dà modo di portare in giro per il mondo l’arte della metamorfosi che è nata in Italia con la commedia dell’arte, che si è evoluta con Fregoli e che oggi continuo a portare avanti.
Dove ha imparato Arturo Brachetti quest’arte?
A quindici anni sono rimasto affascinato dalla lettura di un libro dedicato alla vita di Fregoli. Si trattava di una biografia del grande artista che non parlava, però, dei suoi trucchi, dei suoi segreti. Ho deciso, così, di inventarmeli. Nel 1979, quando andai a Parigi per la mia prima audizione con 6 costumi (che nel frattempo sono diventati 450, ndr) fui immediatamente scritturato perché ero l’unico al mondo a praticare l’arte del trasformismo con trucchi originali. Solo anni dopo sono riuscito a risalire a quelli che erano i trucchi di Fregoli, per altro molto semplici. Sono stato, in sostanza, una sorta di apripista visto che poi in tanti hanno imitato e continuano a imitare l’arte del trasformismo. Fondamentale, poi, è il lavoro con i miei collaboratori, i due che sono in scena e gli altri dodici dietro le quinte. Senza questa presenza molti dei numeri che vedranno anche i bresciani, non sarebbero possibili.
Ha mai pensato a una scuola per trasmettere ad altri l’arte del trasformismo?
No. Per imparare occorre battersi, avere tanta voglia di imparare, di apprendere da chi sa. Negli anni della gioventù seguivo passo per passo Erminio Macario e Ugo Tognazzi che ancora oggi considero i miei maestri, e lo stesso facevo con tutti gli altri artisti con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Cercavo di “rubare”, osservandoli e studiandoli il loro mestiere, che non è cosa che si può trasmettere sui banchi di una scuola. Allo stesso modo anche io oggi permetto a chi è interessato al trasformismo di ‘vampirizzarmi’. Ma serve tanta passione e tanta voglia di imparare, di sperimentare.
Dove trova, lei che è definito come mito vivente, il più grande trasformista del mondo, “the legend of quick change” la forza di studiare per migliorare sempre di più?
Nella consapevolezza che il viaggio di un artista, così come quello di ogni uomo, termina con la fine della sua vita. E’ questa la molla che mi spinge a ricercare, a trovare cose sempre nuove da fare. Lo scorso anno, per esempio, ho recitato nel musical “Cabaret” al fianco di Diana Del Bufalo e per la prima volta nella mia carriera ho dovuto cantare in scena. Mi sono messo a studiare canto e con grande sorpresa ho scoperto di riuscire a farlo anche abbastanza bene. Per me è stata una cosa molto piacevole, che mi ha dato una carica enorme e una rinnovata voglia di mettermi in gioco, nonostante le mie primavere siano quelle di un pensionato.
Ogni sera lei, con i suoi spettacoli permette a migliaia di spettatori di vivere un sogno. Ne ha uno che vorrebbe realizzare?
Sì: un grande one man show televisivo. Ai miei spettacoli assistono direttori di rete, dirigenti di tv generaliste e delle più grandi piattaforme che non mancano di esprimere i loro complimenti. Ma ci si ferma lì. In tempi in cui basta essere un tiktoker un po’ più famosi di altri per avere un proprio spazio televisivo, credo che anche un “Brachetti show” non sfigurerebbe nei palinsesti televisivi.