Il mio Paolo VI e il Cristo biancazzurro
Montini ebbe l'intuizione del grande rapporto tra sport e fede
Quando nacque Paolo VI, lo sport popolare non esisteva. Ma in quegli anni De Coubertin diede inizio alle Olimpiadi moderne, affermando che, in piena rivoluzione industriale, l’uomo deve avere il primato sulle macchine. Principio condivisibile! Ma proprio in quegli stessi anni di fine 800 un gruppo di preti protestanti portò dell’Inghilterra il gioco del calcio a Roma. Conseguenza fu che il mondo cattolico guardasse con scetticismo il nascente movimento sportivo.
A nulla servirono i proclami di padre Semeria (un rosminiano) che affermava l'importanza dello sport per attrarre giovani e che la pratica sportiva nei luoghi parrocchiali aveva come conseguenza una maggior presenza alla Santa Messa e al catechismo.
La chiesa rimase comunque contraria all’attività fisica proibendo addirittura ai sacerdoti di andare in bicicletta (salvo nel caso di portare l’estrema unzione ai moribondi) fino agli anni ‘60.
In questo contesto storico il sacerdote Montini non seguì l’esempio di Papa Pio XII notoriamente conosciuto come buon alpinista. E neppure possiamo paragonarlo a Papa Giovanni Paolo II che durante il pontificato per ben 155 volte lascio in segreto il Vaticano per recarsi, di martedì, sul Gran Sasso a sciare.
Eppure papa Paolo VI fu un grande maestro anche per gli sportivi! Pur non praticante, riuscì ad intuire e declinare teleologicamente l’unione tra sport e fede! Ieri come oggi tutti sono bravi a narrare la valenza educativa dello sport, ma in pochi hanno saputo leggere nello sport uno strumento capace di arricchire lo spirito e l’appartenenza ecclesiale.
Nel 1943 troviamo mons. Montini, fotografato vicino a Papa Pio XII, mentre benedice la nascita del Centro Sportivo Italiano voluto da Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica Italiana, che ben conosceva per il servizio alla FUCI. Giunto da cardinale a Milano appoggiò i Vescovi italiani nella prima storica iniziativa pastorale “un gruppo sportivo in ogni parrocchia”. Proprio nelle sue visite agli oratori milanesi ricordò spesso ai ragazzi che l’Oratorio “è palestra di vita e di fede” evidenziando quanto la pratica sportiva sia strumento e contenuto di valori umani e religiosi. La vita cristiana non è per nulla facile – amava – ricordare è esigente e paragonabile alla vita dell’atleta che domanda sacrificio, esercizio, condivisione ed ascesi verso traguardi elevati.
Incontrando a Roma i giocatori e i dirigenti del Brescia calcio nel 1965, Paolo VI affermo che lo sport “ha in sé un valore morale ed educativo di prim’ordine: è una palestra di forti virtù, una scuola di equilibrio interiore e di esteriore controllo, una propedeutica alle conquiste più vere e durature, alle vittorie definitive e perenni … cioè quelle dello spirito! ” In quella circostanza il Papa bresciano regalo un quadro raffigurante un “Cristo biancoazzurro”. Ancora oggi quel quadro è depositato nella sede del Brescia Calcio ed osserva incuriosito il cambio di presidenti, dirigenti e giocatori. Loro passano, ma i valori spirituali e umani testimoniati da Paolo VI sono sempre vivi. In quella circostanza era presente anche Azeglio Vicini, giocatore del Brescia Calcio che anni dopo fu l’allenatore della Nazionale Italiana nelle “notti magiche”. Azeglio mi raccontò con grande orgoglio di quell’incontro: “L’essere bresciani e sportivi - ci disse il Papa - deve essere un titolo d’impegno maggiore nell’essere cristiani e uomini di valore.” Come dire che chi dalla vita ha ricevuto molto, deve saper dare molto di più agli altri.
Ma la grandezza dell’intuizione del rapporto tra fede e sport trova sintesi nel discorso ai corridori del Giro d’Italia del 1964: “Lo sport, oltre che una realtà sensibile e sperimentabile,
è un simbolo d’una realtà spirituale, che costituisce la trama nascosta, ma essenziale, della nostra vita: la vita è uno sforzo, la vita è una gara, la vita è un rischio, la vita è una corsa, la vita è una speranza verso un traguardo, che trascende la scena dell’esperienza comune, e che l’anima intravede e la religione ci presenta.”
Ritengo sia questa una delle più belle definizioni del rapporto tra sport, vita e fede. Ancora oggi insuperabile per intuizione di contenuti e poeticità del testo.
Furono molteplici gli incontri con altri club di calcio, di nuoto, rugby e atletica che Papa Paolo VI ebbe a vivere durante il suo pontificato. Ogni volta sapeva trovare un elemento di fede che spronasse gli atleti ad un successo sempre più grande. Non poneva limiti ai traguardi che un atleta poteva raggiungere se fosse stato capace di attingere al Dio buono e giusto la forza per raggiungere la piena maturità umana e sportiva.
Ai nostri giorni cerco di tradurre questo prezioso insegnamento di Paolo VI attraverso il motto “chi scende in campo e ha fede, ha una marcia in più”. Ai giocatori del Brescia calcio regalo può molto volentieri la fotografia del Cristo Biancoazzurro. E prego Iddio affinché li faccio maturare prima come cristiani, poi come uomini e poi come giocatori.
E’ ciò che ha fatto Paolo VI intuendo l’ordine educativo da seguire e rendendo spirituale la pratica sportiva.
Gli uomini passano. Le imprese sportive si dimenticano. Ma la passione che ha toccato i cuori e lo Spirito chi li ha rigenerati rimane per sempre. Nella fede del Cristo biancoazzurro che Paolo VI ci ha consegnato.