Il mandato dell’amore
Dalla semina al raccolto, dalla coltivazione nei campi all’annuncio del Vangelo con un occhio speciale per chi vive situazioni di difficoltà. Fra Cristian Limonta, nato nel 1968 e originario della provincia di Como, è stato nominato parroco del Sacro Cuore di Gesù in città, in via Milano. Fra Cristian è l’attuale curato dell’Oratorio San Carlo e appartiene all’Ordine dei frati minori Cappuccini. Succede a fra Paolo Giavarini. La sua risposta alla chiamata vocazionale è iniziata quando aveva già intrapreso un percorso lavorativo.
Ci racconta come e quando è nata la sua vocazione?
Sono entrato in seminario nel 1996, all’età di 28 anni. La mia è stata una vocazione tardiva, che però portavo dentro di me da molto tempo. All’epoca vivevo sul lago di Como e lavoravo in un’azienda agricola. Dopo la chiusura dell’azienda mi sono trovato perso e ho avuto la possibilità di riflettere e di comprendere ciò che era davanti ai miei occhi ormai da anni. È proprio in quel momento di difficoltà che ho sentito di essere chiamato dal Signore, di dover seguire questo cammino che mi ha portato ad essere curato per sei anni e, tra qualche mese, anche a divenire parroco.
Vista la sua esperienza da curato, come vede il rapporto di oggi tra l’oratorio e i giovani?
La nostra parrocchia si trova in via Milano e ormai mi trovo qui da sei anni. Ci sono stati molti cambiamenti e ho potuto comprendere a fondo la vita dei giovani e dei più piccoli in questo contesto che presenta molte difficoltà. In oratorio abbiamo un gruppo fisso di 35 adolescenti che seguono la catechesi e che si impegnano quindi nella vita cristiana. Ci sono poi molti ragazzi di diverse etnie che frequentano gli ambienti dell’oratorio. Alcuni come ritrovo, altri come luogo in cui condividere momenti delle loro giornate. Non è poi da sottovalutare l’importanza dell'Icfr, cioè la catechesi per un centinaio di bambini delle scuole elementari e per i loro genitori. Quando sono arrivato l’affluenza era veramente bassa, mentre ora il ritrovo mensile è sempre affollato e sereno.
Può fare una fotografia della realtà della sua parrocchia?
Quando sono arrivato, ricordo che oltre al bar e al gruppo che gestiva il teatro non c’era nient’altro. Negli anni abbiamo quindi cercato di ampliare i nostri orizzonti e di svolgere attività che potessero portare gioia e serenità soprattutto alle persone più in difficoltà. Ad esempio ospitiamo alcuni gruppi del Cps (Centro psico sociale) e organizziamo spettacoli teatrali. Abbiamo poi instaurato una collaborazione importante con vari ospedali di Brescia. Ci siamo adoperati per programmare delle lezioni di ballo latino-americano per persone affette da leucemia. Ci sono insegnanti e volontari che ballano con loro e cercano di alleviare le loro sofferenze. Quindi, anche se ci troviamo in una zona che da molti è definita “complicata”, la nostra comunità si impegna per fare del bene ogni giorno. Con il Covid-19 abbiamo dovuto fermare tutte le attività, ma riprenderemo appena verrà garantita la sicurezza e dichiarata debellata la pandemia.
Il quartiere in cui lei è inserito è in continua trasformazione. Che ruolo può recitare la comunità cristiana in tutto questo cambiamento?
Nel nostro quartiere ci sono moltissime etnie e religioni differenti. Nonostante le diversità di culto religioso, la comunità cristiana ha una funzione aggregatrice anche quando ha a che fare con persone che professano altri culti. La parrocchia e l’oratorio sono infatti frequentati assiduamente da persone che provengono dal Sudan, dalla Nigeria e anche dall’Oriente. Questa è una delle grandi ricchezze di cui possiamo godere e da cui possiamo imparare sempre qualcosa di nuovo.
C’è un versetto del Vangelo a cui lei è particolarmente legato?
Nel mio cammino devo ammettere di non aver mai preferito un versetto ad un altro. Questo perché credo che gli insegnamenti del Vangelo siano tutti preziosi e di grande rilievo. Mi viene in mente però un passo letto nell’ultima Messa domenicale, che cita: “Egli dona sé stesso, ed esige da coloro che vogliono essere dei suoi: Date loro da mangiare; dividete il poco che avete, cinque pani, due pesci”. È un passo conosciuto da tutti e insegnato anche ai più piccoli, ma che ha l’eco fragorosa del potere del donare e dell’amare il prossimo anche nei momenti più complicati.