Giustizia e reati, quale soluzione?
Giustizia riparativa e mediazione penale
Questo il titolo del convegno promosso dal Dipartimento di psicologia nella sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore lo scorso 17 novembre. Gli interventi sono stati coordinati da Luciano Eusebi, Direttore del Master in Giustizia Riparativa e Mediazione penale.
“Non vi è alcun dubbio, ci troviamo di fronte a una vera e propria evoluzione della giustizia penale”. Apre così il convegno Luciano Eusebi introducendo i lavori con un excursus storico, mettendo a disposizione dei partecipanti, alcuni ragionamenti molto pregnanti e significativi, ricavati dall’analisi di dati presi dagli Stati Uniti d’America. Continua Eusebi: ‘Posso anche neutralizzare l’azione del reo, ma, sappiamo come, negli anni ’70, l’azione giudiziaria americana, abbia moltiplicato per 5 la popolazione penitenziaria toccando i 2,2 milioni di cui 200mila condannati all’ergastolo, senza ottenere riscontri sul contrasto alla criminalità’. Ecco allora che, la giustizia riparativa, vuole tentare una soluzione verso quella ‘frattura sociale’ creata, a partire dalla commissione del reato con la fase processuale e terminare con la sentenza definitiva, quindi all’esecuzione della pena, riportando l’attenzione alla vittima.
Seguire questo solco, non significa applicare solo i programmi di giustizia riparativa sul modello della mediazione, di cui parla la riforma Cartabia, ma bisogna considerare come, tutto ciò che diventa risposta al reato, è già giustizia riparativa progettuale, programmatica. Ho fatto parte di numerose commissioni di riforma e, tra il 2006 e il 2008, ho concretamente partecipato alla commissione ‘Pisapia’, nonostante i notevoli contributi e la mole di lavoro prodotta, non siamo ancora riusciti a convincere il nostro legislatore ad avere, a conclusione del processo, una pena prescrittiva, una pena programma.
Sarà utile comunque ricordare come il nostro ordinamento sia fondato sulla teoria della retribuzione secondo la quale la pena è un valore positivo che trova in sé stessa la sua ragione e giustificazione. Essa è il corrispettivo del male procurato all'ordinamento sociale e viene applicato a causa del reato commesso, quasi come corrispettivo di esso; l'idea retributiva implica il concetto di personalità, di determinatezza, di proporzionalità e di inderogabilità della pena medesima. È il giudice a dare giustizia alla vittima senza che questa possa essere attore diretto durante il processo e tende completamente a sparire nella fase esecutiva della pena. Il concetto carcerocentrico continua ad essere l’elemento principale utilizzato come politica della neutralizzazione del reo. Un ‘fallimento’, continua Eusebi.
L’articolo 27 della carta costituzionale, individua la finalità educativa della pena, eppure, ne viene costantemente messo in discussione il raggiungimento dello scopo. Per fare la differenza, bisogna aprire realmente uno spazio di interdisciplinarità se vogliamo incidere sostanzialmente sui dati incresciosi della recidiva penale; nella realtà quotidiana, possiamo renderci conto della necessità di giustizia, ma, ancor prima, della percezione di “insicurezza” che, sempre di più, allarma i cittadini.
Allora, è la giustizia riparativa, la risposta migliore a garanzia della vittima, della società e dello stesso autore del reato? È necessario uscire dal concetto di ritorsione − il male trattato con altro male −, mantenendo i principi costituzionali della risposta al reato, non solo quello della limitazione della libertà.
Ora, in che momento ci troviamo? Siamo nel momento nel quale il messaggio torna ad essere: più pena, più carcere. Il problema è la messa in discussione della finalità educativa, il vero messaggio è la trasformazione del pensare giustizia; è questione di cultura, di riforme programmatiche. Si illude l’opinione pubblica che basti l’aumento della risposta punitiva per avere giustizia e maggiore sicurezza.
La cronaca quotidiana ci dice il contrario; abbiamo la necessità di rafforzare la speranza, di alimentare la spinta propulsiva della società tutta. Tra i vari temi, toccati da Eusebi, la componente formativa ne risulta sostanziale, ha ricordato, come ‘il master attivato, sia la migliore risposta introdotta dall’università’. Giustizia riparativa significa recuperare quello che nel processo penale non c’è, la possibile dimensione di dialogo consegnando centralità alla vittima; voglio ricordare un pensiero di Manlio Milani – sottolinea Eusebi – rispetto alla vicenda di piazza della Loggia: ‘guardate che il processo, non serve a condannare, il processo serve a fare verità, a capire’. Il sistema sanzionatorio penale rimane carcerocentrico, incentrato cioè sulla pena detentiva e, molto marginalmente, pecuniaria in sede di condanna, resta il messaggio sociale per cui: ‘la pena è quella e tutto ciò che deroga da quella pena: ‘misure alternative, messa alla prova, giustizia riparativa’, è buonismo che non corrisponde alla prevenzione, è rinuncia all’applicazione della pena giusta, è rinuncia a fare la migliore prevenzione. Se continua a passare questo messaggio sociale, non arriveremo ad alcuna soluzione e allora, con molta serenità, dobbiamo sottolineare, come il nostro debba continuare a essere un impegno che prosegua a informare l’intero sistema penale”.