Fra arte sacra e contemporaneità
Edoardo Ferrari è originario di Ponte di Legno, 58 anni, scultore. Ha iniziato la carriera dopo gli studi al liceo artistico Foppa di Brescia e all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Figlio e nipote d’arte, ha sviluppato una sensibilità artistica particolare nel campo dell’arte sacra a servizio della liturgia. Le sue opere sono presenti in chiese e cattedrali in Italia e nel mondo.
Come nasce in lei la passione per la scultura?
Sin da quando avevo tre anni frequentavo l’atelier del nonno e del papà. Il più delle volte, quando dovevo andare all’asilo, spesso ero restio, volevo stare con loro, fra marmo e pezzettini di legno, era un gioco ma anche una passione. Posso dire che l’ambiente familiare è stato una grande fortuna, avevo la libertà di utilizzare i materiali più diversi, imparando precocemente le varie tecniche. Un’esperienza non indifferente. Il percorso scolastico ha creato il perfetto connubio fra la tecnica, l’ambito intellettivo e culturale. Non dimentichiamo che l’arte si fonda soprattutto sull’intelletto. Al Liceo artistico Foppa ho avuto la fortuna di seguire le lezioni di artisti veramente validi, Tullio Cattaneo in primis, per quanto attiene, prevalentemente, la scultura. Stessa cosa dicasi per l’Accademia di Belle Arti di Brera, un’esperienza che, a distanza di oltre 30 anni, posso dire mi abbia aperto la mente. Ho, infatti, avuto la fortuna di conoscere i più grandi artisti contemporanei dell’epoca, oggi riconosciuti a livello internazionale, fra questi ricordo: Alik Cavaliere, Luciano Fabro, Davide Benati, Grazia Varisco e Franco Mazzuchelli. Nel periodo post accademico ho potuto frequentare un master con Bruno Munari sui materiali trasparenti. Anche questo è stato un passaggio fondamentale. Ho potuto studiare le avanguardie e le transavanguardie con i migliori critici dell’epoca, tra cui Giovanni Accame e Marco Meneguzzo, con i quali ho redatto la tesi sull’arte sacra contemporanea. Da qui nasce il percorso artistico che mi ha portato sino a oggi, alla mia ricerca fra arte sacra e contemporaneità.
Quali sono gli interventi di cui va più fiero?
Senza dubbio sottolineo gli adeguamenti liturgici del presbiterio: penso alla creazione di nuovi poli liturgici, quali l’altare, l’ambone, tutto ciò che rappresenta la sede di colui che presiede l’assemblea. Tali interventi ho avuto la fortuna di poterli realizzare ovunque, dall’Italia sino all’estero. Mi sono misurato con diverse culture. Ritengo sia stata la mia più grande fortuna. Ogni opera è come un figlio, non può e non c’è alcun privilegio, almeno eticamente, certamente si rimane più affezionati a questa o a quell’altra creazione, a seconda delle rispettive peculiarità. Posso dire di essere rimasto legato a quelle opere in cui ho avuto la possibilità di operare a contatto sia con la cultura del luogo sia con le persone. Le mie creazioni, del resto, nascono proprio da una prassi dialogica e di confronto, non solo con la committenza, ma anche con i fedeli. Ogni opera che sono chiamato a realizzare deve rapportarsi con il contesto in cui verrà collocata. Ogni realizzazione è, per tale ragione, differente dalle altre.
In tal senso, può fare qualche esempio?
Ricordo uno dei primissimi interventi, quello nella parrocchia Santa Maria Assunta di Darfo Boario Terme, a Montecchio. Risaliamo a 25 anni fa. Partendo da un blocco monolitico ho, infatti, applicato la mia ricerca fatta di superfici concave e convesse, forze che attirano, d’altronde non si parlerebbe di polo liturgico, di altare. Un altro lavoro a cui sono molto legato riguarda la casa provinciale, a Roma, della Congregazione delle Maestre Pie Venerini. Anche in questo caso la ricerca è stata approfondita. È stata un’esperienza più che significativa, così come lo è la Cattedrale di Castanhal do Parà in Brasile, guidata dal bresciano mons. Carlo Verzeletti, l’ultima diocesi nata per volere di San Giovanni Paolo II. La creazione dell’altare, dell’ambone e del tabernacolo mi hanno visto impegnato per due anni, opere create di concerto con la comunità, attraverso un dialogo costante.
Rimanendo nel Bresciano?
Sicuramente ricordo quanto realizzato per la parrocchia di Calcinato dedicata a San Vincenzo. I motivi di tale legame sono molteplici, a partire dal mio modus operandi che è stato compreso nella sua totalità sia dal parroco che ha iniziato i lavori, don Ruggero Zani, sia dal suo successore, don Michele Tognazzi. È stato un grande esempio di continuità che ha implementato l’opera, di concerto con l’interesse costante dei fedeli, innumerevoli, in centinaia, durante lo svolgersi dei lavori. Il dialogo porta sempre a una crescita, non dimentichiamolo mai.
Guardando ai progetti futuri?
Il momento post-pandemico è sicuramente particolare, anche per la Chiesa. Le risorse economiche non sono più quelle di un tempo, le spese sono aumentate così come le attività manutentive. È un fattore con il quale bisogna fare i conti. Il più delle volte è necessario affidarsi a degli sponsor, come lo possono essere le fondazioni che operano sul territorio. Di certo, i progetti in cantiere sono molteplici, anche per quanto attiene l’ambito pubblico. Guardiamo, inoltre, all’imponente intervento, in atto, a Perugia, nella chiesa di San Giovanni Paolo II. In questa fase della vita, in più occasioni, le persone con le quali mi sono confrontato, durante i diversi lavori, mi hanno fatto riflettere sul concetto del “passare e trasferire” la mia esperienza, contribuendo ad amplificare il già presente desiderio di affacciarmi al mondo dell’insegnamento accademico.
