Educare per far centro nel cuore
La sfida educativa all’Istituto Santa Maria di Nazareth: “La scuola è fatta per dare ai giovani le basi necessarie a progettarsi nel futuro”
Una delle cose chiare nel processo educativo, è che ci si educa reciprocamente, si cresce insieme o non si educa affatto. Al di là dei metodi e degli strumenti, ogni efficacia nell’educare qualcuno parte dal fatto di mettersi in gioco con lui e, quindi, disposti a cambiare anche noi.
Certo, nella scuola ci sono aspetti e situazioni da cui non si può prescindere: la scuola è fatta per insegnare e imparare, per dare alle giovani generazioni le basi necessarie a progettarsi nel futuro possibilmente costruendo un mondo migliore di quello che c’è.
Ma queste sono idee generali e se – come è necessario – ci mettiamo alla ricerca del “che cosa” e del “come” insegnare e imparare, ci rendiamo conto che le risposte che un tempo ci si poteva illudere che fossero facili, sono diventate complesse, articolate, mai scontate e tranquille.
I contesti in cui ci muoviamo sono anch’essi in movimento continuo: dobbiamo insegnare a leggere, scrivere e far di conto a generazioni che usano processi mentali diversi dai nostri, proponiamo valori che la società vive in modo frammentato e confuso, o addirittura disprezza come inutili e superati, tentiamo di abilitare a una convivenza di pace e collaborazione ragazzi che abitano un mondo di individualismi bellicosi, che ignorano il senso della storia e restringono lo sguardo a un presente senza radici fondato sull’apparenza e l’opportunismo, invitiamo a riti che (per fortuna non sempre) non sanno parlare alla loro vita…
Eppure, educare è bello! Ci sentiamo di dirlo ad alta voce nella sfida quotidiana di cercare quelle sintonie che sono possibili quando – quasi miracolosamente – si “fa centro” nel cuore e nella mente con un’idea, un racconto, un’intuizione o una scoperta frutto di ricerca appassionata e magari faticosa, quando si incontra uno sguardo che dice più di mille parole, un “grazie” o un sorriso la mattina alle otto e dieci che dicono che lì c’è voglia di vita e si capisce di colpo che questa vita va custodita con cura e stimolata quando rischia di spegnersi o di nascondersi, in attesa che arda da sola, anche contro le intemperie di questo tempo folle. Quando si capisce che, a modo suo, ogni ragazzo in Dio ci crede.
Insomma, la certezza di Piamarta secondo la quale “una creatura è capace di miracoli se le fai il dono della fiducia” non ha perso il suo valore e apre continuamente alla speranza, che è tutt’altra cosa rispetto all’ottimismo ingenuo.
La speranza non si dà se non si è disposti a coinvolgersi, a lasciarsi verificare dai “soggetti” che ci si trova davanti quasi mai come li vorremmo, a non sentirsi umiliati e offesi quando essi, abilmente, scoprono le nostre debolezze e ce le buttano in faccia.
Questo, infatti, ci fa bene, perché ci permette – proprio come chiediamo a loro – di far tesoro dei nostri sbagli come occasioni per capire di più noi stessi e il mondo e armarci del santo coraggio di vivere, che è diverso dal sopravvivere.
Vivere è aver trovato il senso del proprio essere al mondo, coltivare la gratitudine per la bontà del proprio essere che, in qualunque condizione, è dono e compito. Dono ricevuto del tutto gratuitamente, compito di progettarsi distogliendosi da quell’ auto-centramento che rende sterili e può illudere solo per un certo tempo. Per questo, educare davvero è possibile solo se si cresce insieme: scuola, famiglie, educatori e giovani, compagni di viaggio di un’avventura in salita che, ad ogni passo, permette di vedere qualcosa di più e, ogni tanto, di commuoversi per il dono bello e grande della vita.