Disturbi alimentari: la famiglia va coinvolta
Quando si parla di DNA (Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione), il focus è, come lecito, sui soggetti che ne soffrono. Molto più spesso, infatti, si dimentica di fare riferimento alla famiglia e a tutte le persone che, inevitabilmente, ne vengono condizionate. Anzitutto, i genitori di oggi conoscono l’eventuale problema e hanno i mezzi per poterlo affrontare? Ne parlano o si vergognano, perchè pensano che questa situazione sia l’immagine del loro fallimento? Sono agevolati nell’accesso alle cure o devono lottare per ottenere aiuto? Abbiamo posto queste e altre domande a Silvia Antonelli, psicologa e psicoterapeuta del Consultorio Diocesano di Brescia (che, tra i vari servizi attivi, ne ha uno legato alla presa in carico ambulatoriale di persone che vivono un disagio emotivo attorno ai temi del cibo, del peso e del corpo).
Incontrando i genitori, quale aspetto sottolineerebbe come prioritario?
La precocità dell’intervento: prima si riescono a cogliere i segnali e si attiva l’intervento, migliore è la prognosi. Anche perchè, spesso, nelle fasi iniziali, il soggetto è in sintonia con il suo sintomo, non lo riconosce come un disagio, anzi è una soluzione. Laddove il ragazzo o la ragazza fatichi o non sia ancora pronto a riconoscere o accettare il disturbo, il genitore, che percepisce il malessere, può rivolgersi ai centri specialistici. Nel caso contrario, quando anche il genitore fatica a riconoscere cambiamenti semplicemente perchè è a contatto stretto con il figlio, può e deve farsi aiutare.
Spesso, però, i genitori sono bloccati da un senso di vergogna e fallimento e non riescono a chiedere aiuto...
Rispetto al passato, quando la famiglia era più demonizzata ed era chiamata in causa come colpevole, oggi non è più così. Se un genitore si accorge del disagio, è già questo un aspetto degno di nota. Mamma e papà hanno un ruolo davvero importante. Il coinvolgimento dei genitori è fondamentale, ma non in termini di colpevolizzazione, quanto di collaborazione, di ricerca di senso e di amore.
Un altro problema è l’accesso alle cure. La situazione, dal vostro punto di vista, com’è? Ci sono segnali di miglioramento?
Brescia offre dei servizi specialistici nel pubblico e nel privato convenzionato, come nel nostro caso. In questo ambito, trattandosi di un disturbo multifattoriale e multicausale, l’approccio deve essere multidisciplinare: lo sguardo deve essere su più fronti, con diversi professionisti al lavoro, quali il medico psichiatra, lo psicologo, il dietista, lo psicoterapeuta e il medico internista. E questo, non solo per una definizione del problema, ma anche nella presa in carico. Detto questo, a Brescia come nel resto d’Italia, si attesta certamente una difficoltà di accesso. C’è sicuramente tanto da fare, ma ritengo anche ci sia una maggiore conoscenza e consapevolezza del problema.