Covid: le paure e la ricerca di senso
La seconda ondata della pandemia è arrivata. Lo dicono i numeri che anche nel Bresciano stanno progredendo con grande velocità. Il ricordo di quanto vissuto nelle prime settimane di questo 2020, con il rapido avanzare della malattia e la drammatica contabilità di vittime e contagiati che avevano lasciato attonite intere comunità, sta introducendo nel racconto di questo ritorno del virus un elemento nuovo: quello della paura. Ciò che non si era provato allora tanta gente lo sta vivendo adesso, complice anche quella che gli esperti chiamano “infodemia”, quell’ecco di informazione sul covid più che informare sta creando confusione. Oggi la gente, nonostante le rassicurazioni che arrivano dal campo sanitario circa la disponibilità di terapie più efficaci e di strumenti per una diagnosi più precoce, ha forse più paura di ieri. Sa quali conseguenze il Covid può portare, ha paura, anche se spesso manifesta questo sentimento in modo irrazionale. Il tema è talmente avvertito che la Cisl di Brescia e Valle Camonica nei giorni scorsi ha promosso un convegno online dal titolo “Per non rimanere schiacciati dalla paura del virus”. A dettare le coordinate di questa riflessione, che ha fatto da sfondo alle testimonianza di persone che hanno trovato la via per convivere con la paura portata dalla pandemia, è stato invitato Domenico Simeone, docente di pedagogia generale dell’Università Cattolica, che proprio nell’analisi di quello che sta capitando in questi giorni, indica in questa intervista, come già fatto nel corso del convegno, il segno evidente di una paura sconosciuta nella prima fase della pandemia.
Professore, è davvero così evidente oggi questa paura del virus?
Sì. Oggi assistiamo ad atteggiamenti contrapposti, che sono entrambi figli della paura. Da una parte c’è chi continua a negare ciò che sta accadendo e continua a comportarsi come se il virus non ci fosse. Dall’altra, al contrario, c’è chi manifesta una paura che paralizza, che impedisce di agire in maniera propositiva. Questi due estremi in qualche modo si toccano e sono comunque espressione di una paura che non aiuta ad affrontare la situazione. Si tratta invece di una paura che, se adeguatamente affrontata, potrebbe avere anche una funzione positiva diventando cura, sollecitudine, prevenzione.
Professore, sono spinte dalla paura anche le persone che scendono in piazza per contestare le misure che, a loro dire, limitano la libertà personale?
Non dobbiamo correre il rischio di banalizzare comportamenti che possono essere etichettati come superficiali. Sono invece modi in cui si esprime la paura, un lessico che dobbiamo imparare ad ascoltare. Credo che ci sia bisogno di qualcuno che questa paura la sappia accogliere, che sappia fare quello che fa una mamma che prende tra le braccia il figlio di pochi mesi che piange disperato e riesce a calmarlo. In questo tempo avremmo bisogno di qualcuno capace di compiere questa operazione per dare senso e significato a quello che stiamo vivendo perché è proprio il non avere un orizzonte di senso che crea angoscia e che mette in difficoltà.
Paghiamo l’assenza di figure in grado di svolgere questa funzione materna. Il solo papa Francesco con il suo appello “Nessuno si salva da solo” non basta?
Papa Francesco è uno dei pochi leader mondiali riconosciuto per credibilità, statura morale, capacità di andare all’essenza delle questioni e per questo è un punto di riferimento. Ma ha anche bisogno di essere ascoltato! Più che avere tanti leader la gente deve cambiare atteggiamento e deve ascoltarli, fare propri i loro messaggi, farli propri, per affrontare questa situazione insieme.
Guardando alla pandemia, lei ha invitato a riprendere il cammino per generare speranza, un esercizio che, oggi tra la veloce ripresa dei contagi e le restrizioni dei nuovi Dpcm, sembra più facile a dirsi che a farsi…
Il percorso è praticabile a patto che la speranza che si vuole generare sia affidabile e non solo enunciata. Ma perché questo avvenga è necessario pensare a strategie, bisogna avere capacità di visione per il futuro. Spesso, invece, ho l’impressione che chi è investito di precise responsabilità abbia il respiro corto di chi reagisce alle singole situazioni, piuttosto che con la visione di chi sa progettare il futuro. È necessario pensare a una sorta di patto sociale che permetta di non vivere soltanto l’emozione dell’oggi, ma di guardare più avanti, di elaborare progetti che dicano quali sono le difficoltà reali e come devono essere affrontate; quali strategie mettere in atto per uscire da una situazione come quella che stiamo vivendo.
Senza questa impostazione c’è il rischio di cadere in paure irrazionali, difficili da governare?
Sì. In sostanza si rischia di tornare alla situazione preCovid, senza pensare a un nuovo futuro, a una nuova opportunità che chiede anche cambiamenti nello stile di vita, nel modo in cui compiamo le scelte sociali, economiche, politiche. Oggi abbiamo l’opportunità di cogliere questa lezione. Dobbiamo capire se c’è la volontà di imparare qualcosa dal dramma che stiamo vivendo o se preferiamo fare finta che questa situazione non abbia nulla da dirci. Credo che anche nelle difficoltà ci sia un seme generativo che va coltivato e fatto crescere: è questo il guadagno più importante che possiamo trarre da una sfida drammatica come quella che stiamo vivendo.