Carcere e volontariato
Il tema attuale dell’esecuzione penale socialmente responsabile evidenzia l’importanza del ruolo rivestito da tante associazioni presenti a Brescia
In Italia c’è oggi un clima culturale che vede nel carcere l’unica via, magari con un inasprimento delle pene, per risolvere il problema della sicurezza. I numeri ufficiali, però, dicono che non è prolungando la permanenza nelle “patrie galere” e togliendo molti di quei presunti benefici di benefici di cui godrebbero i detenuti, che la criminilità si riduce. Anzi, il Il 70% dei detenuti che negli anni della pena non hanno potuto contare su alternative cade nella recidiva. Usciti dal carcere tornano a delinquere. Chi sconta, invece, la pena con sanzioni di comunità ha una recidiva del 19%. Il confronto tra i numeri è impietoso! La possibilità di sanzioni di comunità richiede, però, una comunità pronta ad aprirsi con intelligenza e lungimiranza al mondo del carcere. Si tratta, però, di una via non sempre agevole, anche a causa di tanti retaggi culturali che continuano a persistere.
Brescia celebra proprio il 19 aprile, con una cerimonia in palazzo Loggia, la “Giornata dell’esecuzione penale responsabile” pensata proprio per “raccontare” quali frutti riesce a portare la collaborazione tra il mondo della giustizia e la società civile. Per Brescia con la quindicina di associazioni di volontariato che da anni, in forma più o meno continuativa, collaborano con il carcere non è un tema nuovo. “Però – afferma Luisa Ravagnani, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale – è importantante continuare a parlarne, soprattutto per mettere in risalto quell’arricchimento reciproco che avviene tra questi due mondi”. Non ultimo quello della possibilità che il carcere sia considerato veramente come uno dei tanti mondi che vivono una città. “Questo tipo di volontariato – afferma ancora Luisa Ravagnani – ha avuto nel tempo la capacità e la forza di sensibilizzare il territorio all’idea che il rapporto con il carcere non può essere solo lasciato a poche associazioni e che un’apertura al territorio è la premessa per concepire l’esecuzione penale in modo più costruttivo”. Per la Garante dei diritti dei detenuti la vera sfida è quella di riuscire a convincere la città che quella dell’esecuzione penale non è solo una questione da addetti ai lavori, ma un dovere preciso di tutta la comunità.
In questo cammino Brescia fortunatamente non è all’anno zero. “In questi anni – afferma ancora Luisa Ravagnani – di passi avanti ne sono stati compiuti molti, il più eclatante dei quali è sicuramente rappresentato dai detenuti che escono dal carcere per svolgere lavori socialmente utili, in una sorta di restituzione nei confronti della comunità. Ma questo è possibile perché c’è una collettività che evidentemente è pronta ad accogliere queste presenze con convenzioni tra Comuni e carcere”. Questo non vuol dire che il traguardo sia raggiunto e che il percorso sia facile, soprattutto in tempi come quelli attuali in cui da più parti si alza la richiesta di pene severe e intransigenti, con una predilezione più per la punizione che alla rieducazione. “C’è comunque – sono ancora sue considerazioni – una buona parte della comunità che su questi temi non si accontenta più di ragionare con la pancia”.
A Brescia un pecorso di avvicinamento tra carcere e società c’è ed è ancora in atto, anche grazie al mondo del volontariato che è andato affiancandosi a preti e suore presenti in carcere per un servizio pastorale. Sono tanti i volontari che entrano in carcere con la consapevolezza di essere strumenti di mediazione e di sensibilizzazione con la città che vive all’esterno e che sul mondo del carcere ha ancora bisogno di essere rassicurata.