Amore fraterno: la storia di Comunità Fraternità
Perché un convegno e un impegno nell’accoglienza? La cooperativa, già a partire dagli anni ’70, iniziava in modo “artigianale” l’accoglienza di cittadini provenienti da paesi terzi.
Antonio Bergamini, uno dei fondatori, ricorda: “Volevamo rispondere ai bisogni del momento, avevamo il desiderio di dare ad ognuno la possibilità di mettersi in gioco e riscattarsi socialmente a prescindere dalla propria storia personale. Non c’era giudizio, per noi era importante che l’intenzione di cambiare e di ‘rimettersi in pista’ fosse reale e autentica. Avevamo a disposizione una casa da offrire a chi, per svariati motivi, si trovava in difficoltà. Eravamo animati da uno slancio umano, dal desiderio di renderci utili, ma eravamo giovani e impreparati. Ci sono voluti tempo e esperienza per riuscire a creare una realtà in grado di agire con professionalità ed efficacia. Già allora il contatto con persone di culture diverse faceva capolino; si trattava di un tipo di immigrazione diversa da quella di oggi nella modalità di raggiungimento del nostro Paese, ma alla base rimaneva la stessa necessità di scappare dalla guerra, dalla prevaricazione, dalla povertà, dalla persecuzione... Fin da subito abbiamo capito che creare connessioni con il territorio, soprattutto attraverso un’attività lavorativa, avrebbe portato beneficio e agevolato l’integrazione”.
Una casa e un lavoro: sono queste le richieste più immediate. Nel tempo, l’idea di accoglienza si è evoluta e si è prestata attenzione anche agli aspetti culturali, all’apprendimento della lingua, all’integrazione nei luoghi di residenza. Dall’accoglienza per scelta spontanea della cooperativa si è passati a modalità più strutturate attraverso convenzioni con la Prefettura di Brescia nel 2013, anno in cui si sono accolti i primi sette richiedenti asilo, che sono aumentati nel 2022 fino a 65. Nel 2016, abbiamo realizzato il primo progetto Sprar, oggi Sai, che ci ha visto passare da 10 a 30 persone accolte. Queste persone, prima solo maschi, oggi sono in prevalenza famiglie donne sole e/o con figli minori, oppure adulti maschi fragili.
I punti qualificanti lo stile di lavoro sono in sintesi: la micro accoglienza diffusa, cioè non luoghi in cui si concentrano tutti gli immigrati, ma alloggi sparsi nei diversi territori per favorire i processi di integrazione; l’accompagnamento al lavoro tramite un percorso interno e i nostri laboratori per l’apprendimento delle regole unitamente a percorsi di formazione professionale; l’apprendimento della lingua per potersi muovere sul territorio con facilità per spostarsi, fare acquisti…; l’accompagnamento alla rete dei servizi, importantissimo soprattutto per le donne con figli per l’accesso ai servizi sanitari, a quelli scolastici e a quelli consultoriali. Ma anche la conoscenza del territorio, dei luoghi di incontro e delle occasioni di tempo libero per agevolare sempre più la conoscenza e lo scambio tra culture sono altrettanto determinanti per la cooperativa e i suoi ospiti.
Non solo: molti soci hanno contribuito alla scelta di accoglienza della cooperativa anche perché hanno svolto e svolgono attività di volontariato in alcuni dei paesi di origine dei nostri ospiti, soprattutto in Africa come Etiopia e Burkina Faso.
Dal 2019, la cooperativa si è lanciata in un grosso progetto nazionale sul tema dell’integrazione perché “non si finisce mai di imparare”. Sicuramente il progetto “Co-efficienti” (di cui si parlerà negli articoli successivi) è stato occasione di confronto, di ricerca, di formazione e di riflessione sull’attività della cooperativa al fine di migliorare la qualità del suo intervento. Ma è stato anche certamente motivo di orgoglio e di vanto aver avuto la possibilità di lavorare fianco a fianco con organismi pubblici e privati di rilevanza nazionale.
Oggi, di fronte a quanto le cronache ogni giorno ci propongono sul fronte immigrazione è facile sentirsi spaesati. In tanti hanno una percezione chiara di quale sia l’atteggiamento giusto, umano, di fronte a un fenomeno che ha spesso risvolti drammatici. Eppure è difficile restituire a livello pubblico le ragioni di questo approccio “civile”. È un momento in cui le ragioni del bene soffrono di assenza di parole. O meglio, è un momento in cui il bene non riesce a trovare e a esprimere con chiarezza le proprie ragioni. Il convegno “Comunità Efficienti”, di cui vi è un approfondimento nelle prossime pagine, è occasione per ridare parole, conoscenza e corretta visibilità ad una realtà spesso presentata in maniera distorta. Del resto, come ha ricordato Antonio Bergamini, oggi ancor più che in passato risulta fondamentale fare rete sul territorio: una cooperazione intensa che può regalare nuove consapevolezze e nuove solidarietà, che coinvolgono sia chi offre, sia chi riceve i frutti di questo network.