Livia una di noi
L’associazione culturale “Amici di Bottonaga”, per ricordare in maniera significativa il 50° anniversario della Strage di piazza Loggia, in collaborazione con il Consiglio di Quartiere don Bosco, il Punto Comunità don Bosco, la Casa della Memoria e l'Amministrazione comunale ha deciso di presentare ai più giovani, attraverso un opuscolo, la figura di Livia Bottardi Milani, una delle 8 vittime in piazza della Loggia.
Livia era nata a Brescia nel 1942, in quei giorni l’Italia era in guerra, da una famiglia semplice, la madre, donna generosa, sarta per una vita, a 82 anni cucì il suo ultimo vestito, il padre era un uomo frugale, impiegato civile al genio militare, partiva la mattina e tornava la sera. Era chiamata “il folletto”, forse perché era sempre di corsa, la sua vita era un fittissimo intreccio di impegni: l’insegnamento prima di tutto, poi le riunioni del sindacato, quindi il servizio al consultorio dell’Aied dove era presente due volte alla settimana per offrire il suo contributo mettendo in pratica il suo ideale: “È necessario uscire dal chiuso del centro, non limitarsi a dare risposte alle donne che si presentano all’ambulatorio ma intervenire su realtà più arretrate e impermeabili”.
"Livia era davvero così: non considerava i rapporti con le persone come occasionali, era interessata alla vita degli altri e gli altri erano il presente; non amava strologare sul futuro o impantanarsi in verbalismi e demagogie − voleva concretezza. Anche la scuola, per lei, era radicamento nel presente e nella realtà, conscia com’era che né dal presente né dalla realtà si potesse mai prescindere. Amava ripetere che i miti andavano distrutti, Gianfranco Porta ricorda la sua sete di rapporti umani 'Non si può respingere o accettare integralmente l’esperienza linguistica di un ragazzo'. E sosteneva che bisognava sporcarsi le mani, sapersi calare, perché ìla persona di cultura non deve trincerarsi dietro la propria agiatezza intellettuale'. Lei si calava eccome: stringeva rapporti con le famiglie operaie, avvicinava di persona le madri lavoratrici, faceva leggere in classe sia Quasimodo sia gli articoli della Fallaci, convinta di dover lavorare per scardinare i vecchi schemi. 'Bisogna distruggere i miti', amava ripetere".