Accoglienza bloccata
Sono passati trent’anni da quando, il 7 marzo 1991, all’orizzonte di Brindisi apparvero due grosse navi mercantili provenienti dall’Albania che si dirigevano verso le coste italiane. Da quelle navi, e da altre venute in seguito, scesero migliaia di persone: alcune stime parlano di 18mila, altre di 27mila. I primi arrivi a Brescia cominciarono pochi giorni dopo. Oggi è sempre la rotta mediterranea quella più praticata da chi cerca rifugio in Italia. L’emergenza sanitaria ha portato con sé vari problemi aggiuntivi per le popolazioni migranti, come sottolinea Stefano Savoldi, presidente della Cooperativa Kemay.
Savoldi, rispetto al passato com’è cambiata la gestione dei richiedenti asilo?
Nel tempo, progressivamente, è stata messa a punto una progettualità. Il sistema è stato strutturato. Al tempo stesso, però, sono emerse normative che hanno ridotto la platea delle persone che potevano usufruire della protezione internazionale. I numeri sono cambiati. Ciò che ha subito una maggiore riduzione è stato l’accesso ordinario al nostro Paese, a fronte dell’introduzione di misure che sono andate a stringere le maglie.
L’impatto culturale ha subito variazioni?
Sono stati fatti sicuramente dei passi avanti. Oggi c’è la consapevolezza che quello migratorio è un fenomeno. E in quanto tale va affrontato. Di certo non è un’emergenza. È necessario gestire un’ordinarietà di accesso al territorio italiano. Anche la giurisprudenza si è molto specializzata su questo ambito. Di contro, la normativa non sempre è stata coerente con questa necessità. Spesso si è cercato di contenere il fenomeno, invece di gestirlo. Questo ha prodotto qualche “effetto paradosso”. I decreti sicurezza e gli accordi con la Libia hanno sì bloccato gli accessi, ma le persone già coinvolte nei percorsi di inclusione si sono visti allungare la permanenza nei centri di accoglienza di almeno due anni e con la pandemia i tempi si sono ulteriormente allungati.
Quanto ha inciso l’emergenza sanitaria?
Dal punto di vista normativo si è aggiunto un ulteriore anno di permanenza della persone accolte. Con la pandemia le Commissioni territoriali non hanno potuto lavorare e i tribunali si sono trovati ingolfati dai meccanismi innescati dai decreti sicurezza. Con l’eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari sono aumentati i ricorsi.
Se guardiamo ai ricorsi avanzati dai richiedenti asilo assistiti dalla Caritas diocesana qual è la situazione?
Dei 59 richiedenti asilo totali (cinque donne e i restanti uomini), cinque attendono il pronunciamento della Commissione, quattro hanno avuto un esito positivo e i 50 restanti hanno fatto tutti ricorso. Alcuni sono in primo e altri in secondo grado. Qualcuno ha le udienze fissate nel 2021, ma quando sono stati depositati i ricorsi era il 2018. Parliamo di persone arrivate in Italia nel 2016. La situazione è questa.
C’è un allungamento dei tempi di attesa?
Assolutamente sì. I “decreti sicurezza” hanno avuto il loro peso e a questi, poi, si è aggiunta la pandemia.
Per quanto riguarda le iniziative?
Come Caritas diocesana, pur non essendo previsto dal bando prefettizio, abbiamo mantenuto in tutti gli appartamenti la possibilità di una connessione internet. Questo ci ha consentito di mantenere un contatto quotidiano con i richiedenti asilo. È stata così garantita la continuità nei servizi già attivi: guardiamo all’alfabetizzazione piuttosto che ai laboratori di ricerca lavoro. Siamo passati da un’accoglienza nella comunità all’accoglienza nella community.
Se dovessimo fare una stima di quanto sia diminuito il trend degli ingressi rispetto al 2019?
Siamo oltre l’80%. Nell’arco di un anno e mezzo, su circa un centinaio di posti messi a disposizione, abbiamo registrato quattro ingressi. Siamo passati dalle 200 persone accolte nell’estate del 2018 alle 59 attuali.
La pandemia ha bloccato in paesi come la Libia migliaia di persone...
Si parla di 700mila migranti fermati in Libia. L’attuale politica è di respingimento sulle frontiere più esterne. In prospettiva, ci aspettiamo misure di accompagnamento in uscita delle situazioni ancora in essere.