8 marzo: da donna nelle istituzioni
Oggi in Italia oltre il 30% delle Prefetture italiane sono rette da donne. Tra queste c’è anche quella di Brescia, affidata dal 2022 a Maria Rosaria Laganà. La presenza sempre più consistente di donne a capo della Prefettura, tra le più importanti fra le istituzioni nazionali, è frutto di una battaglia condotta più di 60 anni fa da Rosanna Oliva che, il 13 maggio 1960, esclusa dalla partecipazione ad un concorso pubblico perché donna, vinse il suo ricorso in Corte di Appello aprendo così l’accesso per le donne alle carriere della pubblica amministrazione da sempre riservate agli uomini. Prende le mosse proprio da quella vittoria “di civiltà” l’intervista con il Prefetto di Brescia.
Dott.ssa Laganà sono passati più di 60 anni da quella sentenza del 1960. Quanta strada ha fatto da allora la presenza delle donne nelle più importanti istituzioni dello Stato?
La strada percorsa è stata veramente tanta e, negli ultimi anni, si è addirittura trasformata in una cavalcata non viziata, sulla base della mia esperienza e del confronto con colleghi e colleghe, da difficoltà e ostacoli particolari. Superata, anche grazie a quella sentenza, la stagione in cui quella del prefetto era una professione destinata agli uomini, c’è stata una progressione della presenza femminile nelle istituzioni. I dati odierni confermano che sono sempre di più le donne in posizioni e ruoli apicali.
Qual è stato il percorso che l’ha portata dal 2022 alla Prefettura di Brescia?
Mi piace raccontare la mia vicenda personale perché contiene la riprova dei passi da gigante che ha compiuto il cammino delle donne nelle istituzioni. Sono nata e cresciuta a Melito di Porto Salvo, un piccolissimo paese della Calabria, dove l’unico percorso possibile per chi si laureava, specialmente se donna, sembrava essere quello dell’insegnamento lontano da casa. Per indole, però, non mi sentivo portata per quella carriera, così, dopo la laurea in giurisprudenza partecipai a una serie di concorsi per entrare nella pubblica amministrazione, tra cui quello per l’accesso alla carriera prefettizia. Sposata e già mamma di un bimbo venni assegnata quale vice Consigliere alla prefettura di Verona. Arrivai nella città scaligera con la mia famiglia con la speranza di poter fare ritorno in tempi relativamente brevi in Calabria. Ben presto quell’attesa venne vanificata perché mi fu offerta la possibilità di progredire in carriera come vicecapo di Gabinetto della prefettura grazie anche al sostegno di tanti colleghi maschi. Fu un collega più anziano, per me una sorta di mentore, ad aiutarmi a superare domande e perplessità che da moglie e mamma (nel frattempo era arrivato anche il secondo figlio) mi ponevo in rapporto alla carriera in ambito prefettizio. Sentire fiducia e stima nei miei confronti mi stimolò alla ricerca delle soluzioni per combinare i tempi della famiglia con quelli di un lavoro che, per sua natura, non conosce pause. Questo è stato l’avvio del percorso che mi ha portato a Brescia, un cammino in cui non sono mancate difficoltà e sacrifici ma che testimonia anche l’assenza di particolari preclusioni alla presenza femminile in questa carriera.
Guardando oggi alla sua carriera, riesce a dire se è più quello che le ha dato o quello che le ha tolto?
La prima valutazione del cammino fatto è sicuramente positiva. Quasi 40 anni di lavoro in prefettura mi hanno dato tantissimo, anche se non manca la consapevolezza di avere rinunciato a qualcosa. Spesso, però, mi dico anche che, se non avessi intrapreso questa carriera non avrei avuto modo di vivere esperienze particolarmente importanti. Mi ha dato modo di conoscere città e realtà territoriali bellissime e di avere incontri molto arricchenti da punto di vista umano. Senza questa carriera non avrei avuto modo di vivere esperienze di lavoro impegnative ma anche estremamente esaltanti. Al netto del fatto che in ogni vita c’è un po’ di spazio per i rimpianti credo di poter dire che la carriera mi ha dato più di quanto mi ha tolto.
Il racconto che lei fa della sua carriera sembra smentire nei fatti chi afferma che nelle istituzioni, come in altre professioni, la donna è destinata a fare più fatica dell’uomo...
Confermo di non avere trovato nella mia vicenda personale maggiori difficoltà rispetto a quelle dei colleghi maschi. Questo non significa che anche quella prefettizia, come tutte le altre carriere, non sia competitiva. Per me, però, è sempre stata una competizione giocata ad armi pari. Come tanti colleghi maschi, anch’io ho dovuto mettere in conto sacrifici e impegni. Può darsi che oggi, questi, spaventino più che in passato le giovani donne interessate a questa carriera.
Uno studio del 2022 della Camera dei deputati certifica, rispetto alla presenza delle donne nelle istituzioni, il pesante ritardo dell’Italia rispetto a buona parte dell’Europa. A cosa è imputabile questa situazione?
Sono due le situazioni che, a mio avviso, causano questo ritardo. La prima è la mancanza (anche se in tempi recenti la situazione è migliorata) di una rete di servizi capillare ed efficiente che aiuti la donna a conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia. C’è poi, anche se meno accentuata che in passato, una narrazione che tende ad avvallare l’inconciliabilità tra carriera e famiglia, tra lavoro e figli.
Cos’è per Maria Rosaria Laganà la Giornata internazionale della donna?
Credo che si tratti di un’occasione importante per guardare, in termini concreti, al cammino che ancora bisogna fare per i diritti delle donne, a partire da quello di non essere vittime di violenze e di abusi. La Giornata deve essere anche l’occasione per andare a sanare quelle sacche di sottocultura che ancora esistono e che impongono alla donna di doversi quasi giustificare per una maternità o che la costringono ad accettare salari inferiori ai colleghi maschi. Non deve più essere la Giornata della sterile contrapposizione uomo-donna.