Carlo Verdone: senza cinematograf siamo tutti più poveri
Intervista all'attore-regista romano a poche ore dal suo arrivo in città per "Old cinema Brescia"
Cosa perdono le città senza cinema?
Perdono molto, anche se pochi se ne rendono conto. E si tratta di una perdita che non è solo culturale, per la perdita di un pezzo di storia legato a quella sala che viene chiusa. Si tratta di un danno che pesa sulla dimensione comunitaria della vita, perché vengono meno spazi fisici per stare insieme, luoghi che sono sempre stati occasione di grande aggregazione. E questa è una perdita ancora più grave se messa il relazione al fatto che oggi più che mai l’uomo, schiavo del suo tablet, del suo telefono, di un mondo che è sempre più virtuale, è estremamente solo.
Ci sono ancora tante piccole realtà, come le Sale della comunità, che combattono ogni giorno una battaglia per continuare a fare cinema, per garantire spazi e momenti in cui le persone possano incontrarsi. Quale messaggio vuole inviare ai tanti volontari che accettano questa sfida?
Quello che mi sento di dire loro, insieme al ringraziamento per quello che fanno, è di tenere duro, di non perdersi d’animo perché la loro sfida quotidiana è quella di tenere desta la memoria del cinema. Sono chiamati a svolgere un ruolo che è simile a quello della sale d’essai che, pur fra mille difficoltà, sono ancora presenti in tante città italiane. Sale che con la loro attività svolgono una grande azione culturale e sono le eredi naturali di quei virtuosi operatori culturali che negli anni Sessanta del secolo scorso aiutarono intere generazioni a conoscere la filmografia mondiale, in tutte le sue declinazioni, fecero il cinema sperimentale e si preoccuparono anche di fare memoria del grande cinema. Oggi queste ricchezza è progressivamente venuta meno e così mi capita di incontrare giovani studenti di cinematografica che non sanno chi siano Vittorio Gasmann o Ugo Tognazzi...
Quella che ha appena descritto, dunque, è una battaglia culturale a cui nemmeno lei si è sottratto...
Sì, ho cercato di fare quanto possibile. Ho appoggiato l’iniziativa di un gruppo di ragazzi che a Roma si è battuto per evitare la chiusura a Trastevere del cinema America e la sua trasformazione in un centro commerciale. Mi sono poi impegnato in prima persona perché all’interno del liceo Majorana di Guidonia (popolosa cittadina alle porte di Roma) fosse aperta una sala cinematografica intitolata a mio padre, che è stato il primo docente di storia della critica cinematografica in Italia. Con la collaborazione di tanti genitori e di docenti dell’istituto abbiamo raggiunto l’obiettivo: la sala è operativa, sarà gestita dagli studenti e la programmazione sarà curata dal dirigente scolastico. Sono particolarmente contento di questo risultato, anche perché è stato realizzato in una di quelle periferie un po’ troppo dimenticate dalla cultura.
Con i suoi film ha raccontato un’Italia che è andata cambiando. Cosa le piacerebbe raccontare di questo Paese?
Dipende, col passare del tempo c’è sempre qualcosa da raccontare e quasi sempre sul versante emergenziale. Ho raccontato del difficile rapporto tra un padre divorziato con figli che non conosce, ho parlato del dramma dei padri separati e, ancora, del disastro del mondo occidentale visto con gli occhi di un prete che torna dall’Africa pieno di dubbi...
Per finire, quali sentimenti umani nutre nei confronti dei personaggi che fa vivere nei suoi film?
Per tutti provo un’infinita tenerezza perché non sono in grado di interpretare, almeno nei film che scrivo, personaggi che odio.
M. VENTURELLI
17 giu 2016 00:00