Vescovo Luciano Monari: i cristiani sono "persone strane e irragionevoli"
"Se siamo cristiani, siamo convinti che le parole del vangelo che abbiamo ascoltato un minuto fa non solo furono pronunciate duemila anni fa a Gerusalemme, ma sono state dette da Gesù qui, oggi, a me e a voi; e che Gesù ce le ha dette, queste parole, perché in noi abiti la sua gioia e la nostra gioia sia piena...". Leggi il testo dell'omelia di mons. Monari per il suo 50° di sacerdozio
È paradossale, ma è proprio così: se siamo cristiani, siamo convinti che le parole del vangelo che abbiamo ascoltato un minuto fa non solo furono pronunciate duemila anni fa a Gerusalemme, ma sono state dette da Gesù qui, oggi, a me e a voi; e che Gesù ce le ha dette, queste parole, perché in noi abiti la sua gioia e la nostra gioia sia piena. È possibile che persone sagge ed equilibrate pensino queste cose?
Non solo è possibile, ma è bello ed è giusto. Mi spiego. Quando diciamo che Gesù è risorto dai morti non vogliamo dire che dopo la morte è tornato indietro, a vivere come prima, cancellando l’evento doloroso che si era compiuto il venerdì santo sul Calvario. Vogliamo dire, al contrario, che la morte non ha bloccato Gesù, che Gesù è andato oltre la morte, che è passato – come dice san Giovanni – da questo mondo al Padre. La vita di Gesù, fatta di parole vere come le beatitudini e le parabole, di gesti buoni come le guarigioni dei malati e la liberazione degli indemoniati non è stata arrestata dalla potenza della morte; ha invece ingoiato la morte nella vittoria portando un frammento del nostro mondo, il corpo stesso di Gesù, oltre la morte, dentro al mondo di Dio. Il Signore risorto è fatto di mondo ma di un mondo trasfigurato, di materia ma di una materia trasformata dallo Spirito, di umanità ma resa partecipe della vita divina. E se uno mi chiede il perché di questa ammirevole trasformazione la risposta sta nel vangelo di oggi: perché Gesù ha sì vissuto una vita umana, fragile come la nostra, ma l’ha riempita di amore autentico, vittorioso come è vittoriosa la vita di Dio. Siccome la vita di Gesù era vita autenticamente umana ha dovuto pagare il prezzo doloroso della morte; ma siccome era vita di amore – cioè vita strettamente divina – ha potuto superare la morte ed entrare nel mistero di Dio. Dio, infatti, è amore – ci ha insegnato san Giovanni – chi ama è generato da Dio e non conosce morte.
Ma la cosa decisiva è che Gesù è risorto non per se stesso, per conquistare un premio personale, ma per noi, per donare al mondo una speranza che non appassisce. “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore… Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri.” Dio è sorgente inesauribile di amore e Gesù è stato inondato da questa corrente di amore, tanto che anch’egli, uomo come tutti noi, ha potuto però amare con la forza e la purezza dell’amore di Dio; è passato facendo del bene e sanando tutti coloro che si trovavano sotto il potere del male; ha obbedito a Dio fino alla morte e così ha portato a perfezione la sua vita. Adesso tocca a noi. Di Gesù è detto che “ci ha amati e ha donato se stesso per noi”; a questo amore dobbiamo rispondere. Possiamo dire: ciò che si presenta come amore è in realtà solo egoismo camuffato; non si può, non si deve credere all’amore se non si vuole deludere gli altri e rimanere delusi noi stessi. Ma possiamo anche guardare la vita di Gesù con uno sguardo di amore e lasciare che l’amore di Dio, attraverso Gesù, ci raggiunga e ci illumini e ci riscaldi accendendo in noi prima il desiderio, poi la forza e il coraggio di amare. Un cristiano fa questa seconda scelta; dice, con le parole di san Paolo, “Mi ha amato e ha donato se stesso per me.” O, con quelle di san Giovanni, “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi: quindi noi dobbiamo dare la vita per i fratelli".
Si vede bene, da queste parole, in che cosa consista l’amore di cui stiamo parlando. È necessario chiarirlo perché il linguaggio corrente identifica l’amore con il desiderio di possedere: amore come piacere, come forma raffinata di consumo, come volontà di potenza. In realtà, l’amore si appassiona, e tanto; è fatto di desiderio, e grande; ma di un desiderio che porta a uscire dal narcisismo, ad aprirsi a ciò che è oltre se stessi, a riconoscere il valore dell’altro, ad operare a favore della vita, della libertà, del bene dell’altro. “E’ bello che tu viva; io voglio che tu viva!” è la formula dell’amore. Per questo è preludio all’amore l’esperienza dell’adolescente che s’innamora e impara ad ammirare la bellezza e il valore di un’altra persona; ma è maturità dell’amore quella dello sposo che dice: “Io prendo te come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.” E non solo: è amore anche il lavoro fatto con competenza e onestà; è amore l’attività politica che opera per il bene comune ed edifica una città dove il debole è riconosciuto nella sua dignità piena e può esprimere se stesso nella libertà. È amore il lavoro del medico che guarisce il malato e quello dell’insegnante che trasmette l’amore per la verità. È amore lo studio rigoroso e a volte arido che permette di distinguere ciò che è vero da ciò che è gradito ciò che è realmente buono da ciò che è bene apparente. Tutto questo intendo con la parola ‘amore’: quello che intendeva il beato Paolo VI, bresciano, quando preconizzava una “civiltà dell’amore” e cioè una forma di convivenza civile dove l’amore (la decisione a favore del bene di tutti) fosse all’origine delle diverse scelte.
Ho detto che tutto questo è amore e tutto questo entra dentro al precetto di Gesù: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.” Ma forse avrei dovuto dire con più precisione che tutto questo può essere amore, può diventare amore. Lo diventa nella misura in cui riusciamo a tenere sotto controllo i nostri interessi personali, a relativizzare anche gli interessi di gruppo (cioè gli interessi di partito, di paese, di razza…) per cercare ciò che è bene anche per gli altri e che prepara il bene delle generazioni future. Qui tutto si gioca sulla qualità umana della persona. Se la persona è egoista, quello che farà sarà motivato dall’egoismo – sarà egoista l’innamoramento, egoista il matrimonio, il lavoro, l’azione politica, la religione stessa; se la persona ha raggiunto la maturità dell’amore, anche i suoi gesti più semplici saranno gesti di amore e quindi umanamente ricchi. Sanare l’uomo, quindi, far emergere l’umanità dell’uomo è l’impresa decisiva: togliere di dosso all’uomo le paure che lo rendono aggressivo ed egoista, liberare l’uomo dall’incanto delle seduzioni che lo irretiscono e lo lasciano poi triste nel suo isolamento – questa è la sfida decisiva per il futuro. E che cosa può liberare l’uomo se non la sicurezza che nasce dall’esperienza di essere amato? “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore!” Che cosa può riempire la gioia dell’uomo se non la capacità di amare, di donare, di contribuire a edificare un mondo più umano? “Vi ho dette queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".
Quando il 25 settembre di cinquantacinque anni fa ho lasciato Sassuolo, avevo chiaro un obiettivo che era quello di vivere per il Signore; ma non avevo certo coscienza di ciò che questo avrebbe significato in concreto. Sono venuti gli anni della contestazione poi quelli della violenza; abbiamo attraversato la rivoluzione sessuale, la rivoluzione femminile, il divorzio, l’aborto; si è offuscata l’evidenza dei valori coi quali siamo cresciuti… Siamo ancora nel bel mezzo di una crisi culturale che scuote molte certezze; i sociologi parlano di una società frammentata, addirittura liquida, senza radici e senza forme solide…. Eppure, in questa tempesta, la necessità della fede in Dio e in Gesù Cristo per costruire l’umanità dell’uomo mi appare sempre più chiara e consapevole. “Se anche alla fine della mia vita – avevo letto una volta – mi accorgessi che non esiste nulla e che mi sono ingannato nel credere che esista l’amore infinito, non per questo mi pentirei di averci creduto. Perché sarebbe l’Amore infinito ad avere il torto di non esistere e non io ad avere sbagliato nel crederci.” Avere fede significa guardare il mondo e la vita con gli occhi dell’amore; qualcuno può dire che l’amore è cieco e vede quello che non c’è, ma chi ama sa di vedere giusto e sa che i suoi dubbi sono solo il residuo della paura di amare.
Mi capita spesso di incontrare ragazzi e giovani – nelle cresime, negli oratori, negli incontri diocesani o parrocchiali – e in quelle occasioni mi avviene spesso di pregare per loro. Mi sembra di capire molto meglio, oggi, quale grande cosa sia una persona umana matura e buona e vorrei che i ragazzi, le ragazze riuscissero anch’essi a capirlo e si proponessero questa meta come quella più importante da raggiungere. Andando verso il termine della mia frazione di staffetta, mi piacerebbe trasmettere il testimone a molte persone che sapessero amare più di me il Signore e gli altri. Per questo faccio mie le parole del salmo 90 – preghiera di Mosè, uomo di Dio – che dopo aver ricordato la fragilità della condizione umana, conclude così: “Rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda.” Da’ Tu consistenza, Signore, alle nostre opere; togli ciò che è sbagliato, conferma ciò che è giusto, porta a compimento in noi la tua volontà di amore. Così sia.
+LUCIANO MONARI
12 mag 2015 00:00