Te Deum. Monari: "Quel bisogno di un amore sincero verso gli altri"
Ecco il testo dell'omelia del Te Deum del 31 dicembre pronunciata dal vescovo Luciano Monari nella Basilica di S. Maria delle Grazie
Non solo: la manifestazione del male suscita in molti, nelle persone più umane e coraggiose, una salutare reazione. Non la reazione emotiva che vorrebbe rispondere alla violenza con la violenza, ma la risposta saggia, che cerca di comprendere i processi che conducono a forme di barbarie e cerca di mettere in atto i rimedi utili per contrastarli. Quante sincere vocazioni al servizio degli altri sono nate proprio come risposta alle diverse forme di disumanità presenti nel mondo!
Non basta: nell’esistenza di ogni creatura riconosciamo un frammento dell’amore di Dio che, ricco di bontà, diffonde qualcosa della sua bellezza, della sua gioia, sulla molteplicità delle creature, in quel processo straordinario di evoluzione che costituisce motivo di meraviglia sempre nuova. Similmente il bene che ammiriamo nel cuore degli uomini quando essi, nonostante tutto, rispondono al male con una forza di amore più grande, anche questo bene viene da Dio, dalla sua infinita misericordia: è Lui, infatti, “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.” È la misericordia di Dio – quella che celebriamo in questo anno di Giubileo straordinario – che rende misericordiosi e capaci di perdonare. Se non avessimo speranza in un mondo più giusto, ci rassegneremmo facilmente allo statu quo e non impiegheremmo riflessione, tempo, energie, per migliorare le cose. È dunque cosa buona e giusta ringraziare anche al termine di quest’anno.
Poi, dopo aver doverosamente ringraziato, cerchiamo anche di capire: da dove vengono i tanti conflitti che sorgono in diverse parti del mondo e che hanno fatto parlare di una terza guerra mondiale combattuta a frammenti? da dove la litigiosità quotidiana che avvelena i rapporti tra le persone e rende fragile ogni legame? da dove l’aggressività verbale che supera così spesso i limiti della buona educazione? Siamo diventati all’improvviso malvagi e maleducati? Abbiamo perso i freni inibitori e lasciamo libero corso a istinti di violenza che da sempre abitano il nostro cuore? Ci illudiamo di potere trovare sicurezza allontanandoci dagli altri e costruendo muri sempre più alti attorno a noi e alle nostre cose? È difficile rispondere con poche parole, perché siamo di fronte a un mondo complesso e frammentato, nel quale mille azioni diverse si compongono e finiscono per produrre effetti imprevisti, che gli attori nemmeno avevano immaginato. L’impressione è che stiamo andando avanti a strappi, cercando di rispondere in modo emotivo ed episodico a quella che sembra sul momento un’emergenza, un problema urgente, un diritto trascurato, senza avere una visione sufficientemente organica e chiara della società che desideriamo, senza una scala di valori che metta ordine nelle priorità e nelle scelte. La conseguenza è che vince chi urla di più, chi commuove di più, chi può orientare l’opinione pubblica, chi gioca sui desideri immediati. Non è un processo sano. Rischiano di crescere i marginali, quelli che non si riconoscono nella società perché hanno l’impressione che la società non si ricordi di loro.
Lo statuto della vita umana rimane quello definito nel libro del Deuteronomio: “Ecco, io pongo davanti a te la vita e il bene, la morte e il male… Scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza.” Non si può volere tutto: ogni scelta comporta delle rinunce e ogni conquista suppone dei sacrifici da parte di qualcuno. Sarebbe utile riprendere dalla sapienza popolare tanti proverbi che mettono in guardia dalle illusioni: “L’erba ‘voglio’ non cresce nemmeno nel giardino del re… non si può avere insieme la botte piena e la moglie ubriaca…” Lo scopo della vita sociale non è la soddisfazione dei desideri individuali; questi, per natura loro, sono illimitati; soddisfatto uno, ne nascono immediatamente due altrettanto urgenti. Non si tratta di elevare il sacrificio, la rinuncia a valore in se stesso; la gioia delle singole persone contribuisce a creare una società più umana. Si tratta, però, di tenere presente che la soddisfazione del desiderio di uno comporta quasi sempre il sacrificio del desiderio di un altro; che quindi, davanti a ogni scelta, bisogna fare il confronto tra i beni che si ottengono e i beni che si perdono. E che questo bilancio va fatto non solo al livello della singola persona, ma del bene di tutti, comprese le generazioni future. Tenendo presente che al miglioramento della qualità della vita contribuisce di più una rete di relazioni umane serene che il possesso di una maggiore quantità di beni: “Un piatto di verdura con amore è meglio di un bue grasso con l’odio” (Pr 15,17) si legge nel libro dei Proverbi.
All’interno della nostra società ci sono gruppi che, impauriti dalle trasformazioni culturali, temono che venga sconvolto il loro modo di vivere e di pensare, hanno l’impressione che sia stata dichiarata loro guerra e ritengono di dovere combattere pro aris et focis, per la difesa a oltranza della tradizione. E ci sono altri gruppi che si lanciano verso il futuro abbracciando acriticamente ogni nuova proposta come fosse un passo necessario sulla via del progresso e della libertà. Da una parte si rifiuta il nuovo perché è nuovo; dall’altra, per lo stesso motivo, lo si proclama necessario. Ora, il nuovo può essere buono o cattivo, saggio o stupido. Se non riusciamo a distinguere i casi diversi, siamo destinati a soffrire e a fare soffrire più del necessario. Si tratta anzitutto di riconoscere che l’uomo vive nella storia; che la storia è mutamento continuo; e che la pretesa di rimanere fermi è solo un’illusione. Sono convintissimo della verità del cristianesimo; ma so anche che la forma del cristianesimo di san Basilio non è quella di san Paolo; e che quella di Gregorio VII non coincide con quella di san Basilio; e che il Vaticano II ha una visione piuttosto diversa da quella di Gregorio VII. Cristo è il medesimo ieri, oggi e nei secoli – ricorda la lettera agli Ebrei: è la rivelazione dell’amore di Dio Padre e la proposta dell’amore fraterno fino al dono di se stessi. Ma la materia umana che questa fede cristiana è chiamata a plasmare muta col passare del tempo e necessariamente muta la forma concreta della vita. E quello che vale per il mondo cristiano vale, in modi diversi, per tutte le culture umane: che siano africane o asiatiche o americane.
D’altra parte la storia non procede in linea retta; se ci sono dei cambiamenti che migliorano la qualità umana della società, ce ne sono anche altri che la peggiorano o addirittura la mettono a rischio. Penso all’analisi per certi versi spietata che papa Francesco ci ha fatto della nostra società occidentale nella sua lettera Laudato si’. Secondo il Papa l’emergenza ambientale che viviamo è niente meno che la spia di un modello di sviluppo errato che ha bisogno perciò di essere rivisto alla base, con intelligenza e senso critico. Bisogna avere chiari quali sono gli obiettivi della vita comune sapendo che le esistenze delle persone si intrecciano necessariamente e quindi che le scelte di ciascuno influiscono, poco o tanto, sul bene di tutti – positivamente o negativamente. Non è possibile che il criterio supremo delle scelte sia la soddisfazione dei desideri individuali perché questi confliggono inevitabilmente.
Abbiamo bisogno di analisi oggettive e lucide; di proposte creative e intelligenti; di decisioni realistiche e responsabili. E soprattutto abbiamo bisogno di un amore sincero verso gli altri, di una difesa appassionata della vita e della convivenza umana. Questo chiediamo al Signore al termine di un anno difficile ma sempre provvidenziale, mentre ci accingiamo a entrare con fiducia nel 2016. Il Signore faccia risplendere su di noi il suo volto e ci benedica!
+LUCIANO MONARI
01 gen 2016 00:00