Pasqua.Tutti siamo quel Corpo risorto
In occasione della Santa Pasqua “Voce” ha chiesto a mons. Giacomo Canobbio, delegato vescovile per la cultura una riflessione su cosa significhi vivere da risorti nella città. Un percorso che rimanda anche al progetto Corpus Hominis che si sta preparando a vivere il momento centrale della sua prima annualità dedicata alle opere di misericordia corporale. Dal 31 maggio al 5 giugno, infatti, si celebra il Festival della Comunità
Senza il corpo non si potrebbe neppure dire “Io”. Sulla scorta di questa notazione si può capire perché molte persone abbiano cura del proprio corpo e si preoccupino di mantenerlo vitale; e si può capire perché quando incomincia il decadimento del corpo si avverte una forma di delusione, quasi anticipo della morte. Il corpo implica vitalità, armonia, bellezza. Forse nessuno come Piero della Francesca è riuscito a tradurre in immagine questa idea: il Cristo risorto (nella foto centrale) che si erge nel sepolcro appoggiando un piede sul bordo di questo su uno sfondo di natura armonica è figura di un corpo che ha vinto definitivamente la morte e ha ripreso le forme originarie modellate da Dio per gli umani incontaminati. Corpo da ammirare che diventa esemplare dei corpi umani nella risurrezione. La fede cristiana con la confessione della risurrezione della carne ha fin dall’inizio voluto significare che nulla della persona umana è destinato a dissolversi definitivamente: piuttosto, tutto è orientato alla “restaurazione” grazie alla potenza dello Spirito di Dio il cui compito è quello di trasformare il nostro misero corpo per renderlo simile al corpo glorioso di Cristo, come scrive san Paolo nella Lettera ai cristiani di Filippi. Il corpo non è però soltanto la dimensione fisica della persona umana. Fin dall’antichità il termine è stato usato per indicare un gruppo sociale, perfino l’intera società.
L’utilizzo di questo termine serviva (e serve) a richiamare l’articolazione armonica delle persone e delle funzioni. Per questo nel Nuovo Testamento è stato assunto per descrivere anche la Chiesa: essa è il corpo di Cristo. Con tale descrizione si volevano indicare due aspetti: la Chiesa è un insieme organico di persone alle quali lo Spirito affida compiti diversi, da coordinare però tra loro; ma anche: la Chiesa è la visibilizzazione di Cristo risorto. A questo riguardo se si domandasse agli scritti del Nuovo Testamento: “Dov’è il corpo di Gesù risuscitato?”. Insieme alla risposta: “È andato presso Dio”, si troverebbe: “È dove si riunisce la comunità cristiana, perché questa è la presenza visibile del Risorto nella storia”. Se poi si cercasse di capire come si costituisca questo corpo ecclesiale, si troverebbe che è grazie al corpo eucaristico di Cristo. Quando San Paolo rimprovera i cristiani di Corinto perché ritrovandosi a celebrare la cena del Signore non vivono la carità verso i più deboli, arriva a scrivere: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,29). L’espressione “il corpo del Signore” ha due significati: il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale. Il primo è il fondamento del secondo. Lo aveva capito bene Sant’Agostino in un sermone rivolto ai neobattezzati che stavano partecipando all’eucaristia: indicando il corpo eucaristico sull’altare dichiarava: “Voi siete quel corpo”. Dal corpo eucaristico, che è la presenza del Signore nel sacramento, viene la comunità cristiana, cioè la presenza visibile dello stesso Signore nella storia. Se è vero che il corpo è un insieme armonico, la comunità cristiana che nasce dal corpo eucaristico non potrà che tendere all’armonia. E non c’è armonia dove non c’è unità, pur nella diversità delle funzioni, delle strutture personali, delle condizioni sociali. La comunità cristiana diventa in tal modo il germe dell’unità sociale di tutte le persone umane che vivono nello stesso territorio. Il concilio Vaticano II ha voluto richiamare questa idea descrivendo la Chiesa come segno e strumento dell’unità che Dio vuol realizzare di tutti gli umani. Si tratta di una verità che diventa un compito: attingendo al corpo eucaristico, il corpo ecclesiale si preoccupa di generare legami armonici tra persone di condizione diversa. Presunzione? Sarebbe tale se la Chiesa non fosse l’espressione di colui che ha dato la sua vita, il suo corpo, per fare dell’umanità un corpo solo. E la meta è un corpo pieno di vitalità, che nella speranza è orientato alla pienezza della vita e dell’armonia, non alla condizione di cadavere.
GIACOMO CANOBBIO
06 apr 2015 00:00